Marina Ivanovna Cvetaeva, o Svetaeva, in russo: Мари́наИва́новнаЦвета́ева[?], pronunciato Zvetàieva (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941), è stata una poetessa e scrittrice russa. Nata a Mosca, fu una delle voci più originali della poesia russa del XX secolo e l’esponente più di spicco del locale movimento simbolista il suo lavoro non fu ben visto dal regime staliniano, anche per via di opere scritte negli anni venti che glorificavano la lotta anticomunista dell'”armata bianca“, in cui il marito Sergej Jakovlevič Efron militava come ufficiale; quest’ultimo, insieme al figlio e alla stessa Cvetaeva lasciarono Parigi per Mosca nel 1939, per poi venire arrestati e sparire.
La poetessa rimasta sola, smarrita, una domenica d’estate del 1941 s’impicca nella camera che ha affittato nella casetta di due pensionati. La riabilitazione della sua opera letteraria avvenne solo a partire dagli anni sessanta, vent’anni dopo la sua morte.
La poesia della Cvetaeva unisce l’eccentricità a un rigoroso uso della lingua, non priva di metafore paradossali. Se durante la prima fase creativa, Cvetaeva risentì dell’influenza di Majakovskij e del suo vigore poetico, in seguito se ne distaccò grazie alla sua cultura basata sui romantici tedeschi, e quindi si accostò maggiormente sia a Pasternak sia all’animo poetico di Puskin.
Da Wikipedia
Centenario della nascita: cartolina postale russa in onore di Marina Cvetaeva (1992)
Poesie
23 MARZO 1923
Pioggia
Mentre l’amico caro attraversava
l’ultimo viale (filare di nodosi
addii) – più grandi degli sguardi
erano gli occhi.
Mentre l’amico amato doppiava
l’estremo promontorio (di sospiri
della mente: torna!) – più grandi delle mani
erano i gesti.
Quasi le braccia volessero lasciare
le spalle e le labbra – indietro,
a supplicare! Lottava con la lingua
la parola, il palmo con le dita…
Mentre l’ospite tenero passava…
– Signore, posa lo sguardo su di noi! –
le lacrime erano più enormi
di occhi umani, e delle stelle
sull’oceano.
INDIZI
Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.
Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.
Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.
Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.
Riconosco l’amore dal boato
– dal trillo beato –
lungo tutto il corpo!
AMORE
Fuoco? Uragano? Terremoto?
Andiamoci più piano…
Dolore noto come agli occhi il palmo
della mano e alle labbra
il nome del proprio bambino…
Che cos’è l’arte ?
“…L’arte è la natura stessa. Non cercate nell’arte altre leggi che non siano le sue (non l’arbitrio dell’artista, non esiste- ma proprio le leggi dell’arte). Forse l’arte è solo una ramificazione della natura, un aspetto della sua creazione. Ma è certo: un’opera d’arte è anche un’opera di natura: altrettanto nata, e non creata. E tutto il lavoro per la sua realizzazione? Ma anche la terra lavora; in francese, “la terre en travail”. E la stessa nascita, non è forse un lavoro? La donna gravida del suo bambino, e l’artista gravido della sua opera sono stati paragonati troppo spesso, perché se ne parli ancora: lo sanno tutti, e lo sanno a ragione.
Qual è dunque la differenza tra l’opera d’arte, e l’opera della natura? Nessuna. Eppure, per chissà quali altre strade-di fatica, di miracolo-esiste. Sum!
Vuol dire che l’artista è la terra che partorisce, e che partorisce tutto. Per la gloria di Dio? E, i ragni, allora? Ci sono anche nelle opere d’arte. Per la gloria di chi non lo so, e penso che sia una questione di forza, non di gloria.
E’ santa, la natura? No. E’ peccaminosa? No. Ma se l’opera d’arte è anche opera di natura, perché a un poema chiediamo conto, e a un albero, no? … L’opera d’arte è opera della natura stessa, ma un’opera che deve essere illuminata dalla luce della ragione e della coscienza. Solo allora essa serve il bene, che fa girare la ruota del mulino… “. (Marina Cvetaeva)