Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374)
scrisse “De Viris Illustribus ». É un’opera incompiuta, scritta in un Latino elegante e ciceroniano. Il progetto del libro richiama quello celeberrimo di Plutarco “Vite Parallele”. Per questa e per tutto il complesso delle proprie opere, Petrarca ricevette l’invito per essere incoronato “Poeta Laureato”, il massimo riconoscimento dell’epoca. Curiosamente, l’invito era per una cerimonia da tenersi lo stesso giorno, l’8 Aprile 1341, dalla Sorbona di Parigi, e dal Senato di Roma. Petrarca scelse Roma.
L’opera consta di 2 libri:
1) Il Primo da 24 a 36 biografie di eroi dell’Antica Grecia e dell’Antica Roma;
2) Il Secondo, 12 biografie di Personaggi del Mito e di Personaggi Biblici.
Questo articolo, diviso in 3 Parti, si occupa della Biografia di Alessandro Magno–Alessandro III di Macedonia (in greco antico: Ἀλέξανδρος Γ’ ὁ Μακεδών, Aléxandros trίtos ho Makedόn), detto Alessandro Magno (Μέγας Ἀλέξανδρος, Mégas Aléxandros – 20 o 21 luglio 356 a.C. – Babilonia – 10 o 11 giugno 323 a.C.).
Petrarca scrive una biografia “anti-apologetica” del Grande Macedone, e ne contrappone gli eccessi di una vita che l’Autore definisce “dissoluta e piena di ogni eccesso” a quella degli Eroi di Roma (Catone, Scipione, Cesare).
Scriveremo di questa scelta petrarchesca contro Alessandro nei due articoli successivi.
DE ALEXANDRO MACEDONE.
[1] Alexander Macedo, preclarum in regibus nomen habens, adolescens patrem ultus domitis Athenis et eversis Thebis ac statu Grecie utcunque composito, profectus ad Orientem gessit prelia, si pensetur cum quibus et qualiter gesta sunt, multa potius et magna quam fortia.
[2] Darium Persarum regem cum sexcentis milibus armatorum, minima suorum et pene nulla iactura in campis quos Adastros vocant ita stravit ut eius fama victorie sibi partem magnam Asie subderet. Mox eundem Darium, centum milibus equitum et quadringentis peditum in aciem redeuntem, captis cesisque hostium innumeris, ad Pinarum seu Piramum Cilicie amnem vicit, paucissimis suorum perditis; que ubique tanta victe partis strages et tam parva victricis indicio est quanta partium esset imparitas.
[1] Alessandro il Macedone ebbe grande fama tra i Re. Adolescente, vendicò il proprio padre, sconfisse Atene; distrusse Tebe e, stabilizzata la Grecia, direttosi verso Oriente, ingaggiò battaglie, se si pensa alle genti contro le quali combatté, che sono notevoli per il numero e la grandezza, più che per il valore (dei nemici).
[2] Sconfisse Dario, Re dei Persiani con i suoi 600.000 soldati, nei campi che sono chiamati di Adrasto, subendo perdite minime. La vittoria ebbe una tale risonanza, che gran parte dell’Asia gli si sottomise. Subito dopo, e con pochissime perdite, sconfisse nuovamente lo stesso Dario, tornato in battaglia con 100.000 cavalieri e 400.000 fanti, presso il fiume di Cilicia Pinaro o Piramo, per cui le pochissime perdite subite nelle due battaglie e la strage inflitta al nemico dimostrano quale fosse la disparità di valore dei due contendenti.
[3] Hoc prelio preda ingens regis opulentissimi, materque eius ac soror eademque et coniunx dueque iam adulte filie et filius adhuc infans capti omnes; quibus compatiens Alexander, nondum animo prosperis rebus alienato, insignem exhibuit pietatem.
[4] Non diutius tamen blande urgenti restitit fortune sed, deserto more patrio, in persicas lautias degeneremque mollitiem trucemque ac precipitem lapsus ebrietatem in libidinem quoque atque amorem etiam captivarum (quarum aliquas estu medio bellorum sibi matrimonio copulare non erubuit, ex quibus filios gigneret quibus subessent per quos vicerat Orientem), denique in stultitiam ac ridiculam vanitatem, Persarum victor Persarum vitiis victus est.
[3] In questa battaglia ingente fu il bottino sottratto a un Re ricchissimo; furono catturati anche la madre di lui, una sorella, la moglie, due figlie già adulte, e un figlio piccolo. Verso tutti questi, Alessandro-che non aveva ancora l’animo accecato dalla gloria- mostrò una pietà sublime.
[4] Tuttavia, non essendo riuscito a resistere a lungo alle blandizie della buona fortuna, abbandonò il costume avito, per abbandonarsi alle sontuosità persiane e alle degeneri loro mollezze, alle loro vili e sfrenate ubriacature, e persino all’amore lussurioso verso donne prigioniere (con alcune delle quali non esitò a congiungersi in matrimonio nel furore stesso della battaglia, onde generare figli a cui lasciare in dominio coloro per i quali aveva vinto in Oriente) e fattosi conquistare da una stolta e grottesca vanità, vincitore dei Persiani, si fece vincere dai loro vizi.
[5] Nichilominus tamen sic viventi, tanta vis false etiam fame est, multe urbes Asie cum ingenti thesauro multique reges supplices in deditionem sine prelio venere. Tirum interea omnium Syrie ac Phenicis urbem nobilissimam aggressus, seu per proditionem seu per vim, utrunque enim traditur, eodemque fortune impetu sine bello Egiptum Ciliciamque subegit.
[6] Tertius haud procul Arbela, vico ignobili sed persica strage nobilitato, congressus fuit, paribus utriusque partis et copiis et fortuna; et hic quoque victor Alexander, quinto postquam regnare cepit anno, totius Asie usque ad Indos quesivit imperium, nullo usquam rebellare auso, multis urbibus captis et Babilone insuper per prefectum Darii dedita.
[7] Ubi, siquid mollitiei et ignavie deerat, funditus enervatus et ceu in monstrum aliquod transformatus, immemor contemptorque Macedonum persicos mores induit atque habitum; denique Dario quam Alexandro similior evaserat.
[8] Per hoc tempus Persepolim, regni caput ditissimamque urbium unde multe olim clades a Persarum regibus Grecie invecte fuerant, expugnatam diripuerat.
[5] Pur vivendo egli in questo modo, la forza della sua fama impropria fece sì che molte città dell’Asia, ricche di ogni tesoro, si arrendessero senza combattere e si consegnassero prigioniere. Nel frattempo, occupò Tiro, la più nobile città della Siria e della Fenicia, o per tradimento o con la forza (entrambe le circostanze sono state tramandate). Con pari successo e senza combattere, occupò l’Egitto e la Cilicia.
[6] La terza battaglia ebbe luogo presso Arbela, un villaggio sconosciuto, reso famoso per la disfatta subita dai Persiani. In questa battaglia, pari furono la forza e la possibilità dei due contendenti. Ancora una volta vinse Alessandro che-5 anni dopo aver conquistato il Regno-regnava su tutta l’Asia fino all’India, avendo conquistato parecchie città, in particolare Babilonia, che gli era stata consegnata dal prefetto di Dario.
[7] Quivi, se qualcosa mancava alla sua vita molle ed effeminata, il suo cambiamento si compì tanto che, incredibilmente trasformatosi in qualcosa di diverso da quello che era, disprezzando i costumi macedoni, assunse quelli orientali, al punto da somigliare non più a se stesso, ma allo stesso Dario.
[8] In quel periodo dopo aver espugnato la capitale del regno di Persepoli, la più ricca città dalla quale erano state inferte ai Greci molte sconfitte, la rase al suolo.
[9] Et oppugnatio quidem inter iusta arma laudabilis direptioque tolerabilis, tertium quod sequitur prorsus infame; siquidem hanc eandem urbem, ad Thaidis meretricis ebrie suggestum assensumque mero calentium convivarum, ipse vino eque plenus incendit. Neque id ipsum forsan inexcusabile dici possit, inimice urbis incendium, imo forsitan gloriosum, si sua sponte a rege sobrio imperatum esset; nunc non fedum dici nequit tanta de re Bacho et meretricule paruisse.
[10] Hec gestarum cum Dario rerum summa est. Qui tot tantisque calamitatibus non deiectus animo, adhuc belli consilium agitabat; sed, ut fit, mutata cum fortuna fides quosdam suorum ad impiam nefariamque proditionem incitavit, quorum principes Bessus quidam et Narbazanes fuere.
[11] Qui primo dolosis consiliis Darium aggressi, ut susceptum iniquis auspiciis regni nomen ac dyadema deponeret et illud fortunatiori committeret ad tempus finito bello resumendum, ubi non incredulum modo sed ira dignissima inflammatum agnoverunt, insidiis captum, ne proditioni honor impius deesset, compedibus aureis vinxere, vel regnum illo occiso vel vivo tradito victoria gratiam sperantes.
[12] Sed cum illum, instante Alexandro, e curru in equum transferre vellent, quo expeditior fuga esset, atque ipse proditores impios sequi nolle se diceret et ultores deos atque Alexandrum perfidie vindicem imploraret, plurimis confectum vulneribus rati mortuum reliquere.
[13] Quem cum Alexander multum insecutus assequi nequivisset datoque viris atque equis respirandi spatio substitisset, Polistratus forte miles quidam macedo, siti affectus, dum castris proximum fontem petit, Darium semianimem invenit adhibuitque unum ex captivis interpretem.
[14] Quem cum Darius sue gentis esse ad sonum vocis agnosceret, recollecto spiritu, solamen sibi esse miserie ingens ait quod ultimas eius voces intellecturus exciperet; gratias Alexandro agi imperat, quod ab eo hoste clementer habitus in suis qui in potestate eius essent, a propinquis autem qui ei omnia debuissent impie trucidatus sit; orare se omnes deos ut pro his eius in se meritis sibi totius orbis imperium largiantur; precari etiam sepulture munus, dari dignum potius quam peti; ultionis curam illi committere, cum indigne cesos reges ulcisci regum maxime intersit. His dictis porrectaque dextera exanimatus est. Quod audiens Alexander et corpus invisit et tanto regi lacrimas dedit ac regiam sepulturam.
[9] Occupare una città durante una guerra giusta è lodevole; distruggerla tollerabile; ma Alessandro si comportò in maniera infame, dato che fece bruciare Persepoli essendo ubriaco, e su istigazione della meretrice Taide, ubriaca anch’essa, e di gli altri convitati, anch’essi ubriachi. Non solo non si può dire inescusabile un Re che decide di mettere a fuoco una città nemica conquistata, se egli è sobrio, ma ciò può essere anche un atto glorioso; ma non quando l’atto si compia sotto l’impulso dell’ubriachezza e di una meretrice,anch’essa ubriaca.
[10] Questa è la „summa“delle imprese di Alessandro con Dario il quale, non abbattuto dalle tante sconfitte subite, e pensava ancora alla guerra. Senonché mutò la lealtà con la fortuna, come accade spesso, alcuni empiamente pensarono di tradirlo, e tra essi Besso e Nabarzane.
[11] Costoro, scesi in campo con suggerimenti dolosi, cercarono di convincere Dario ad abbandonare il Regno e a deporre la corona, a causa degli auspici sfavorevoli dopo i quali si era entrati in guerra, e a lasciare l’uno e l’altra, per riprenderli al termine della guerra, a qualcuno che fosse meno sfavorito dagli auspici. Ma quando lo videro fieramente sdegnato per l’incredibile proposta ricevuta, lo presero a tradimento, lo avvinsero con ceppi d’oro-quasi che a tanto dolo non mancasse un certo onore, sperando di lucrare il Regno, se l’avessero ucciso, o nella grazia del vincitore, se lo avessero consegnato vivo.
[12] Incalzando Alessandro, cercarono di trasportare Dario dal carro su un cavallo, per scappare più velocemente. Il Re non volle seguire i vili traditori. Gridò che gli Dei della vendetta erano con lui e, implorando Alessandro che venisse a punire il tradimento subìto, i due lo colpirono con le frecce e lo abbondarono, ritenendolo morto.
[13] Alessandro fece di tutto per raggiungerlo. Non essendoci riuscito, si fermò per dare sollievo ai soldati e ai cavalli. Allora, un soldato macedone, un certo Polistrato, che era alla ricerca di una fonte per dissetarsi, vide Dario ancora in vita.
[14] Fu convocato un interprete. Dario riprese coraggio, sentendo il suono della propria lingua, e disse che era un conforto alla sua sofferenza che potessero essere ascoltate le sue ultime volontà. Ordinò di ringraziare Alessandro, per avere egli trattato con tanta generosità i propri famigliari caduti suoi prigionieri. Rivelò che le persone a lui più vicine lo avevano proditoriamente attaccato per ucciderlo. Pregava gli Dei che concedessero ad Alessandro la signoria del mondo. Chiese che Alessandro di dargli l’onore di una giusta sepoltura, onore che è più giusto dare che chiedere. Infine, gli chiese di vendicarlo, perché è dovere dei Re vendicare altri Re ingiustamente uccisi. Detto ciò, egli diede la mano all’interprete e spirò. Ciò udito, Alessandro si recò a rendere omaggio alla spoglia del defunto, lo pianse, e gli diede una sepoltura degna.
[15] Quod ad vindictam attinet, proditorum alter Narbazanes veniam invenit, missis ad regem literis oblatisque muneribus, uno inter alia tam fedo ut nominare etiam pudor vetet; Bessum alterum qui occiso rege ipse regium insigne susceperat, captum a suis Darii germano suppliciis consumendum tradidit.
[16] His atque aliis successibus elatus Alexander, supraque hominem se se gerens seque Iovis Ammonis filium credi volens, et ob hanc causam templum eius adiit et, mendacio adiutus antistitum, non se iam ut hominem salutari sed ut deum adorari iussit, contradictoribus ac meliora monentibus excandescens.
[17] Cuius rei multa sunt argumenta, sed precipuum Calisthenes philosophus, olim sub Aristotile condiscipulus Alexandri, et tunc ad mandandum literis gesta regis tranquillo ex otio turbidam in militiam evocatus, et a preceptore suo frustra monitus ut salutem propriam aut gratis alloquiis aut silentio tueretur.
[18] Quem sani consilii oblitum et insanie regie resistentem, falsi criminis conficta suspitione, membris truncum labiisque abscissis et naso atque auribus deformatum ad miserrime vite ludibrium reservavit, virum magnum et, si faleras dimoveas, se maiorem ad terrorem spectantium cavea inclusum cum uno vili cane circumferens, quod adversus regem falsa divinitate gloriantem hiscere, vel ut sibi videbatur oblatrare – quantum ego arbitror – ausus esset.
[15] Per quanto riguarda la vendetta contro i traditori, Narbazane, che aveva scritto ad Alessandro una lettera giustificativa, con gli offriva tanti doni, tra cui uno così turpe che la decenza vieta anche di nominarlo, fu perdonato; mentre Besso, che ucciso il Re aveva indossato le insegne regali, fu catturato e consegnato al fratello di Dario, per il supplizio.
[16] Alessandro, inebriato dai propri trionfi, volle credersi di natura sovrumana e figlio di Giove Ammone. Perciò si recò nel tempio del Dio e, con la mendace testimonianza dei sacerdoti, impose di non essere più nominato come essere umano, ma come divinità, dando in escandescenze contro chi non lo assecondava, consigliandogli prudenza.
[17] Ci sono molte prove al riguardo, in particolare quella del filosofo Callistene, in precedenza condiscepolo di Alessandro alla Scuola di Aristotele, e che venne quindi strappato al suo ozio tranquillo, per passare nel seguito di Alessandro e tramandarne le imprese. Il suo precettore (Aristotele) di fare attenzione e di parlare poco con Alessandro, o di usare con lui frasi di condiscendenza.
[18] Ma Callistene, dimentico di questo saggio consiglio, cercò di arginare il delirio regale, per cui Alessandro-sospettandolo di congiurare a suo danno-lo fece barbaramente torturare e gli fece tagliare labbra, naso e orecchie ed esporre, così deforme, a ludibrio delle proprie sventure: grande uomo quale egli era, e certo ben superiore a lui. Come spettacolo ancora più macabro, lo fece esporre in una gabbia insieme a una cane, e lo fece trasportare in giro: tutto ciò per avere egli arguito contro la sua pretesa divinità o, come io suppongo egli ritenesse, aver “latrato” contro di essa.
[19] Cuius tam indigno supplicio non contentus, insontem noxiis ac damnatis immiscuit, torquerique fecit usque dum inter tormenta deficiens interiret. Ita ille vir doctus, regem suum dum deum esse non sinit, homo ipse esse desiit.
[20] Nec sane mors cuiusquam, cum passim levibus aut nullis ex causis multos occideret, magis in regem exacerbavit exercitum, quod et vir bonus et sapiens haberetur et a quo bona multa quotidie discerentur, insuper et obiecti sibi criminis innocens penitusque inscius.
[21] Illud maxime animos accendebat quod, cum paulo ante rex idem in convivio Clitum, nutricis sue fratrem iam longevum spectate erga se semper ac Philippum fidei, ob hoc solum quod, ut fit, comparatione rerum orta, ceteris presenti blandientibus Alexandro, Philippum ille pretulerat, occidisset manu propria confestimque, penitentia sera quidem et pudore nimio ac merore confusus, se se vellet occidere, Calisthenes eum ante alios ab illa desperatione retraxerat.
[22] Cuius quidem viri exitum non armati modo in castris, sed in libris philosophi questi sunt; unde et «Theofrastus», ut ait Cicero, «interitum deplorans Calisthenis sodalis sui, rebus Alexandri prosperis angitur, itaque dicit Calisthenem incidisse in hominem summa potentia summaque fortuna sed ignarum quemadmodum rebus secundis uti conveniret».
[19] Non contento dell’indegno supplizio a cui lo aveva sottoposto, legò lui-innocente-con i veri congiurati e lo fece morire con loro: così quell’uomo dotto, non avendo voluto riconoscere Alessandro come un Dio, cessò egli stesso di essere uomo.
[20] L’esercito fu esacerbato per la morte di quell’uomo buono e sapiente, dopo che tanti altri erano stati mandati a morte da Alessandro, per cause lievi o addirittura inventate, perché da lui (Callistene) si imparava quotidianamente qualcosa e perché (Callistene) era davvero innocente.
[21] Ciò che esasperava gli era anche il fatto che-poco tempo prima-durante un banchetto, lo stesso Re, durante un banchetto aveva ucciso Clito-l’ormai vecchio fratello della nutrice di Filippo e dello stesso Alessandro, per il solo fatto che-essendo nata una discussione su chi fosse il più grande, mentre tutti gli altri avevano scelto Alessandro, Clito aveva indicato Filippo. Mentre Alessandro, pentitosi subito dopo l’attacco di collera per aver ucciso Clito, voleva a sua volta darsi la morte, era stato proprio Callistene a dissuaderlo.
[22] Non solo i soldati piansero Callistene, ma anche i filosofi nei libri, per cui “Teofrasto”-scrive Cicerone-“mentre piange la morte del proprio sodale Callistene, e si turba per le vittorie di Alessandro, e precisa che Callistene era capitato con un uomo potente e fortunato, ma incapace di sfruttare la propria buona sorte”.
Fine Prima Parte
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