Atene e Mitilene (II)
I) Introduzione
Secondo capitolo dell’articolo dedicato allo scontro fra Atene contro Mitilene, scontro che avvenne nel contesto della “Grande Guerra del Peloponneso “.La Prima Parte si può leggere al link seguente :
3) http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/07/atene-e-mitilene/.
Su questo Blog, in precedenza erano stati pubblicati altri Articoli dedicati a Tucidide
1) (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/03/la-peste-ad-atene-2/)
2)(http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/03/la-peste-ad-atene-ii/)
Poiché i 3 capitoli precedenti, e questo quarto che state per leggere qui di seguito, si riferiscono alla stessa opera tucididea, e cioè alle “Storie” , detta anche “La Guerra del Peloponneso”, aggiungiamo alcune note sull’Autore.
I) Lo scontro fra Atene e Mitilene avviene dopo che la peste (430 a.C.) che aveva flagellato l’Attica ed Atene, aveva indebolito le capacità operative della lega Attica e di Atene. Tucidide aveva descritto la peste nel Libro II :49-54, con pagine di straordinaria potenza e precisione. T. era stato colpito dal morbo, anche se in forma meno grave, e ne era guarito.
In II:49-54 è la meravigliosa la precisione con cui vengono descritti nei minimi particolari e con perfetto linguaggio medico i sintomi della peste. La ricchezza del vocabolario tecnico e la precisione della descrizione clinica in T. non era casuale, ma si basava su una conoscenza sistematica degli scritti di Ippocrate di Cos (470-460/377 a.C.), contemporaneo dello Storico.
Ecco come Tucidide descrive la genesi del morbo:” Sulla peste potrete sentire il Medico e il profano parlare ciascuno secondo le proprie conoscenze, dicendo da che cosa essa possa aver avuto origine e quali cause l’abbiano provocata… : io invece vi dirò in che modo si è manifestata e vi illustrerò i sintomi, osservando i quali, se scoppiasse di nuovo, la gente sarebbe in grado di riconoscerla, sapendone in anticipo la natura…” (II:48/3) .
Diodoto, in un discorso memorabile, per confutare Cleone, fa un’analisi attualissima sull’inutilità della pena di morte (III:45) . L’oratore afferma che la minaccia della morte per tutti i Mitilenesi per il tradimento non può essere considerata un deterrente contro ogni futuro tradimento, perché è talmente forte la speranza dell’impunità, che l’uomo continua a commettere il male, confidando ogni volta nell’impunità, e che molti fattori contribuiscono a spingere l’uomo verso il male:
la povertà, fonte di bisogno e quindi di spregiudicatezza e, paradossalmente, la ricchezza che- nutrendosi di insolenza e di orgoglio- genera l’avidità .
Infine, in un meraviglioso crescendo filosofico, Diodoto rende il proprio discorso più universale, affermando che il comun denominatore di tutte le passioni umane sono la speranza e il desiderio. Ma delle due, la più importante è la prima, che gli fa pensare che la fortuna sarà favorevole perché, chiosa l’oratore:” …(la fortuna) talvolta assiste inopinatamente l’uomo, e anche lo Stato, e li spinge a correre rischi, anche se si trovano provvisti solo di mezzi inferiori … e li spinge a considerarsi più forti di quanto in realtà non siano…” (II:45-6) .
Infine, parliamo dei Discorsi, che hanno un posto importante nell’opera di Tucidide. Già nell’Introduzione (I:22), l’Autore qualifica i Discorsi come parte altrettanto importante dei fatti storici. Addirittura, egli sembra considerarli ancora più significativi della narrazione vera e propria degli eventi perché per lui la Storia consiste di fatti, ma anche delle parole dette in pubblico. I fatti sono consequenziali anche alle parole dette in pubblico, e queste sono a loro volta basate sull’abilità persuasiva degli oratori.
II) Discorso di Diodoto
1) La vendetta non scoraggia i criminali
Queste furono le parole di Cleone. Dopo di lui, Diodoto-figlio di Eucrate-che aveva con forza parlato anche nell’assemblea precedente contro la proposta di mandare a morte i Mitilenesi, si fece avanti a parlò così:
“ Non biasimo quelli che hanno riaperto il caso di Mitilene, e non rimprovero quelli che ci accusano di deliberare troppe volte sulle questioni più importanti, ma ritengo che le cose contrarie alle decisioni giuste sono la fretta e l’ira. Questa si associa alla follia; quella, alla volgarità e grettezza. E chi sostiene che le parole non sono maestre delle azioni, è sciocco, o in mala fede. È sciocco, se crede che sia possibile affrontare l’incertezza del futuro in ogni altro modo. È invece in malafede se, volendo far approvare una misura iniqua e dubitando della propria capacità di persuasione per una causa ingiusta, si mette a intimidire quelli di parere opposto e a insultare tutti quelli che lo ascoltano. I più pericolosi sono quelli che accusano un oratore di parlare per denaro. Se invece lo accusassero di ignoranza, l’oratore potrebbe andarsene con la reputazione di essere incompetente, ma non venale. Se invece l’oratore è accusato di disonestà, se ha successo, è pur sempre il successo di un ladro. Se peggio ancora l’oratore non ha successo, viene accusato di essere un incapace e per di più disonesto. In questa situazione, lo Stato viene comunque danneggiato, perché la paura lo priva dei propri consiglieri. In realtà, lo Stato avrebbe un vantaggio se i cattivi oratori fossero messi nell’impossibilità di parlare, in quanto sarebbero scongiurate molte decisioni nefaste. Il buon cittadino deve dimostrarsi oratore più convincente, non spaventando coloro che lo contraddicono, ma parlando in condizioni di parità, e lo Stato saggio non deve gratificare chi fornisce i pareri migliori, ma non deve diminuirne la reputazione. In breve, lo Stato non solo non deve punire chi presenta una proposta respinta, ma non deve neanche calunniarlo.
In questo modo, gli oratori abili sarebbero meno proclivi a sacrificare le proprie convinzioni alla popolarità, alla ricerca di maggiori gratificazioni e-allo stesso modo-gli oratori meno abili sarebbero anch’essi meno portati alla dissimulazione demagogica, per ottenere il favore popolare.
Noi facciamo al contrario e-per di più-se qualcuno è anche minimamente sospettato di cercare il proprio tornaconto, anche dando un parere giusto, diventiamo sospettosi-anche senza motivo-per i guadagni che egli potrebbe ottenere, privando così lo Stato di un beneficio certo. Così accade che i buoni consigli espressi in maniera esplicita siano ritenuti sospetti alla pari di quelli cattivi, e così chi vuole persuadere il popolo ad approvare le proposte più terribili deve conquistarlo con la demagogia e anche chi fornisce i pareri più equilibrati deve mentire, per essere creduto.
2) Lo Stato si serve con animo semplice ed onesto
A causa di queste furberie, c’è solo la nostra Città che è impossibile servire apertamente e senza inganni. Infatti, chi offre in modo palese i propri consigli è sempre sospettato di voler ottenere in modo occulto vantaggi personali. Inoltre, in considerazione dell’importanza delle questioni qui dibattute, e in circostanze come la presente, vi tocca riconoscere che noi oratori possiamo esprimerci con maggiore competenza di tutti voi, perché siamo in grado di esaminare le vicende con distacco, cosa che voi necessariamente non potete fare, perché queste vicende le considerate da vicino, specialmente perché noi siamo considerati responsabili per i pareri che diamo, mentre voi che dovete seguirli, non lo siete. Infatti, se l’oratore che persuade e colui che segue una proposta fossero danneggiati in modo uguale, deliberereste con maggior perspicacia. Voi-invece-talvolta, quando subite un rovescio, vi lasciate trasportare dalla collera che vi coglie in quel momento, e punite solo l’opinione di chi vi ha persuaso, e non le vostre proprie decisioni, che direttamente vi hanno portato all’errore.
Io non sono venuto davanti a voi a contraddire né ad accusare qualcuno sulla questione di Mitilene, perché la nostra discussione non riguarda il torto di questo “qualcuno”, ma la nostra saggezza nel deliberare. Inoltre, se dimostrerò che i MItilenesi sono davvero colpevoli, non vi chiederò di ucciderli, se non sarà utile ad Atene, perché noi stiamo deliberando per il futuro, e non per il presente. E proprio su questo punto insiste Cleone, il quale infatti va dicendo che – per il futuro- per evitare i tradimenti, noi dovremo imporre la pena di morte. Io-sullo stesso punto- insisto ad oppormi a lui, proprio considerando il nostro interesse futuro. Io vi chiedo di non respingere la mia tesi, ma quella di Cleone, per la sua speciosità. Le sue argomentazioni asseconda la vostra collera verso i Mitilenesi e perciò siete tentati di seguire Cleone e non me.Ma noi qui non stiamo procedendo contro di loro per vie legali, così da aver bisogno della giustizia, ma stiamo discutendo su di loro, e su come essi possano esserci utili.
3) Delitti e Castighi
Nelle “πόλεις” per reati molto più lievi di quelli contestati ai Mitilenesi è in genere prevista la pena capitale. Eppure, gli uomini-trascinati dalla speranza dell’impunità-corrono l’alea del castigo supremo, perché nessuno delinque senza sperare di farla franca. E ancora: c’è mai stata una “πόλις” che si sia ribellata, senza presumere di riuscire-anche mediante gli alleati- nell ’ impresa? Tutti, Stati e singoli cittadini, sono portati a commettere colpe e pare non esserci Legge che agisca da deterrente sufficiente: gli uomini tendono ad aggiungere sempre nuovi castighi, e li hanno in realtà esauriti tutti, nella speranza che i criminali spariscano. È anche possibile che nei tempi antichi le pene stabilite per i delitti più gravi fossero in effetti più miti. Ma evidentemente le leggi hanno continuato ad essere violate, ciò che ha portato all’indurimento attuale. Dunque, o si trova un deterrente ancora più efficace della pena capitale, oppure questa pena continuerà a non agire da agire al delitto. Ma la povertà che-spinta dal bisogno- provoca l’audacia; la ricchezza-associandosi all’insolenza e all’orgoglio-porta all’avidità, e tutte le altre passioni degli uomini li spingono verso i pericoli. E sempre-la speranza e il desiderio, questo alla guida, e quella al seguito, mentre il secondo escogita il piano e la prima fa balenare l’alea della buona sorte, portano ai danni più gravi. Essendo entrambi invisibili, superano sempre la percezione dei pericoli reali. E la fortuna-che vi si aggiunge-non contribuisce meno di essi a spingere all’azione. Talvolta, essa assiste qualcuno inopinatamente, spingendolo a correre rischi, anche se fornito di possibilità minime di riuscita, e soprattutto spinge gli Stati, con i quali sono in gioco interessi molto più importanti, come la libertà e il dominio sugli altri, e ciascuno-agendo di concerto con i propri concittadini, si reputa ben più forte di quanto non sia. È davvero impossibile-e dà prova di stupidità chi lo crede-che quando la natura si muove per fare qualcosa, si riesca ad impedirlo con la forza delle leggi, o con ogni altro deterrente.
Commento:
Diodoto qui sovrappone il Diritto Privato (che regola il rapporto tra le persone), e il Diritto Pubblico, di cui una branca è il Diritto Internazionale. Tutte le considerazioni dell’oratore sono valide alla luce del Diritto Privato, per cui a pene maggiori non necessariamente corrisponde una riduzione dei reati.
Ma Diodoto qui si sta occupando di rapporto tra gli Stati, almeno nella forma peculiare che gli Stati avevano in Grecia nel V secolo a.C., Quando si parla di “Stati”, si intendono la “Città Stato”: le “πόλεις”. Nell’ambito del Diritto Internazionale, le considerazioni di Diodoto risultano non pertinenti perché-se lo Stato è indipendente-lo è anche in senso giuridico, in quanto sceglie le Leggi e le applica.
Anche Cleone aveva commesso un errore simile (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/07/atene-e-mitilene/.
), quando aveva- con argomentazioni opposte- auspicato un atteggiamento repressivo di Atene verso il tradimento di Mitilene.
Come possiamo spiegare questo errore metodologico dei due oratori ma soprattutto dell’Autore, nessuno dei quali pare fosse sprovveduto in termini di cultura storico-giuridica? La risposta è semplice: i Greci erano consapevoli di far parte della cosiddetta “ κοινὴ ἑλληνική “ (comunità ellenica) e trattavano i temi del rapporto tra le Città-Stato (le “πόλεις”) come un affare interno greco, donde la commistione tra Diritto Privato e Diritto Pubblico-Diritto Internazionale.
Tucidide:” La Guerra del Peloponneso”; III:41-45
Fine Seconda Parte
Continua con la Terza e Ultima Parte