Morituri
“Ave Cӕsar, morituri te salutant” era il saluto che i gladiatori rivolgevano all’Imperatore, prima delle gare. Da allora, “morituri” viene usato per indicare coloro che si trovano in un grave pericolo, o alla vigilia di una prova rischiosa e imprevedibile, a causa della quale potrebbero soccombere. Tutti coloro che hanno vissuto al tempo delle grandi pandemie si sono sentiti- più o meno consapevolmente-“morituri”. Questa è la ragione del titolo del presente capitolo. La frase proverbiale è una citazione-inesatta-dalla “Vita dell’Imperatore Claudio Cesare” di Gaio Svetonio Tranquillo. Rimandiamo al testo svetoniano chi volesse approfondire la genesi e l’esatto significato della frase prima citata.
Questo è il IV capitolo dedicato a “Influenza, Epidemia, Pandemia”. Per leggere gli altri capitoli, si può andare ai links seguenti:
1)http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/05/influenza-epidemia-pandemia-1/
2)http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/06/influenza-epidemia-pandemia-ii/
3)http://www.ilgrandeinquisitore.it/2020/06/quarantena/
I)“…Avevamo paura anche a respirare, i teatri erano chiusi, e perciò non c’era assembramento di alcun tipo…Ti sembrava di dover camminare sulle uova, e avevi paura anche ad uscire di casa. Non potevi giocare con i tuoi abituali compagni di giochi, con i compagni di scuola, con i vicini. Dovevi solo startene chiuso in casa e stare in guardia. La paura era così grande che la gente aveva paura a lasciare la propria casa. Le persone avevano paura a parlarsi, come se ognuno dicesse a un altro:< Non mi alitare in faccia. Anzi, non guardarmi, così non mi aliti in faccia!>… Non sapevi chi era passato nella lista dei morituri…Ed era questa la parte più sconvolgente, che la gente morisse così rapidamente…I contadini smisero di lavorare, e i commercianti smisero di vendere merci, e tutto il Paese-più o meno-smise, si fermò, col fiato sospeso. Ognuno era rimasto da solo, col fiato sospeso…
…A Washington DC …non c’era vita comunitaria, né scolastica, né in chiesa…non era rimasto niente…Le persone avevano paura a baciarsi, a mangiare insieme…perché ogni contatto poteva significare prendere la malattia …Tu avevi sempre paura, perché eri circondato da gente che aveva paura, e che moriva. All’alba di ogni giorno, non sapevi se al tramonto saresti stato ancora vivo…Si può dire che la paura stessa ti metteva in quarantena, una paura improvvisa e incontrollabile, che ti teneva compagna dalla mattina al risveglio, finché andavi a letto, la sera…” (John M. Barry:” The Great Influenza”. Viking, pp. 347-347)
II) Il Decameron fu composto da Boccaccio tra il 1349 e il 1351. La peste a Firenze si era presentata all’inizio del 1348 ed era durata fino al settembre dello stesso anno. Perciò, quando Boccaccio comincia a scrivere il “Decameron” è un sopravvissuto, un “ex morituro”.
“…Per ciò che, non solamente senza aver molte donne da torno morivan le genti, ma assai n’erano di quelli che di questa vita senza testimonio trapassavano; e pochissimi erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ suoi congiunti fossero concedute, anzi in luogo di quelle s’usavano per li più risa e motti e festeggiar compagnevole; la quale usanza le donne, in gran parte proposta la donnesca pietà per la salute di loro, avevano ottimamente appresa. Ed erano radi coloro, i corpi de’ quali fosser più che da un diece o dodici de’ suoi vicini alla chiesa acompagnati; li quali non gli orrevoli e cari cittadini sopra gli omeri portavano, ma una maniera di beccamorti sopravenuti di minuta gente, che chiamar si facevan becchini, la quale questi servigi prezzolata faceva, sottentravano alla bara; e quella con frettolosi passi, non a quella chiesa che esso aveva anzi la morte disposto ma alla più vicina le più volte il portavano, dietro a quattro o a sei cherici con poco lume e tal fiata senza alcuno; li quali con l’aiuto de’ detti becchini, senza faticarsi in troppo lungo uficio o solenne, in qualunque sepoltura disoccupata trovavano più tosto il mettevano. Della minuta gente, e forse in gran parte della mezzana, era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno; per ciò che essi, il più o da speranza o da povertà ritenu31 di cera e di canti, alla chiesa da lui prima eletta anzi la morte n’era portato. Le quali cose, poi che a montar cominciò la ferocità della pestilenza tutto o in maggior parte quasi cessarono e altre nuove in lor luogo ne sopravennero. Per ciò che, non solamente senza aver molte donne da torno morivan le genti, ma assai n’erano di quelli che di questa vita senza testimonio trapassavano; e pochissimi erano coloro a’ quali i pietosi pianti e l’amare lagrime de’ suoi congiunti fossero concedute, anzi in luogo di quelle s’usavano per li più risa e motti e festeggiar compagnevole; la quale usanza le donne, in gran parte proposta la donnesca pietà per la salute di loro, avevano ottimamente appresa. Ed erano radi coloro, i corpi de’ quali fosser più che da un diece o dodici de’ suoi vicini alla chiesa acompagnati; li quali non gli orrevoli e cari cittadini sopra gli omeri portavano, ma una maniera di beccamorti sopravenuti di minuta gente, che chiamar si facevan becchini, la quale questi servigi prezzolata faceva, sottentravano alla bara; e quella con frettolosi passi, non a quella chiesa che esso aveva anzi la morte disposto ma alla più vicina le più volte il portavano, dietro a quattro o a sei cherici con poco lume e tal fiata senza alcuno; li quali con l’aiuto de’ detti becchini, senza faticarsi in troppo lungo uficio o solenne, in qualunque sepoltura disoccupata trovavano più tosto il mettevano. Della minuta gente, e forse in gran parte della mezzana, era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno; per ciò che essi, il più o da speranza o da povertà ritenu31 ti nelle lor case, nelle lor vicinanze standosi, a migliaia per giorno infermavano; e non essendo né serviti né atati d’alcuna cosa, quasi senza alcuna redenzione, tutti morivano. E assai n’erano che nella strada pubblica o di dì o di notte finivano, e molti, ancora che nelle case finissero, prima col puzzo de lor corpi corrotti che altramenti facevano a’ vicini sentire sé esser morti; e di questi e degli altri che per tutto morivano, tutto pieno. Era il più da’ vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che la corruzione de’ morti non gli offendesse, che da carità la quale avessero a’ trapassati. Essi, e per sé medesimi e con l’aiuto d’alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi de’ già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano, dove, la mattina spezialmente, n’avrebbe potuti veder senza numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir bare, (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra alcuna tavole) ne portavano. Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né avvenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e ‘l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente ne contenieno.
E infinite volte avvenne che, andando due preti con una croce per alcuno, si misero tre o quatro bare, dà portatori portate, di dietro a quella: e, dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n’avevano sei o otto e tal fiata più. Né erano per ciò questi da alcuna lagrima o lume o compagnia onorati; anzi era la cosa pervenuta a tanto, che non altramenti si cura32 ti nelle lor case, nelle lor vicinanze standosi, a migliaia per giorno infermavano; e non essendo né serviti né atati d’alcuna cosa, quasi senza alcuna redenzione, tutti morivano. E assai n’erano che nella strada pubblica o di dì o di notte finivano, e molti, ancora che nelle case finissero, prima col puzzo de lor corpi corrotti che altramenti facevano a’ vicini sentire sé esser morti; e di questi e degli altri che per tutto morivano, tutto pieno. Era il più da’ vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che la corruzione de’ morti non gli offendesse, che da carità la quale avessero a’ trapassati. Essi, e per sé medesimi e con l’aiuto d’alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi de’ già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano, dove, la mattina spezialmente, n’avrebbe potuti veder senza numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir bare, (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra alcuna tavole) ne portavano. Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né avvenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e ‘l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente ne contenieno. E infinite volte avvenne che, andando due preti con una croce per alcuno, si misero tre o quatro bare, dà portatori portate, di dietro a quella: e, dove un morto credevano avere i preti a sepellire, n’avevano sei o otto e tal fiata più. Né erano per ciò questi da alcuna lagrima o lume o compagnia onorati; anzi era la cosa pervenuta a tanto, che non altramenti si cura32 va degli uomini che morivano, che ora si curerebbe di capre; per che assai manifestamente apparve che quello che il naturale corso delle cose non avea potuto con piccoli e radi danni a’ savi mostrare doversi con pazienza passare, la grandezza de’ mali eziandio i semplici far di ciò scorti e non curanti…” (Giovanni Boccaccio: ”Decameron”; Introduzione alla I giornata);
III ) La peste del XIV secolo:
La peste nera fu una pandemia, quasi sicuramente di peste, generatasi in Asia centro-settentrionale durante gli anni ’30 del XIV secolo e diffusasi in Europa a partire dal 1346, Si diffuse in fasi successive dall’altopiano della Mongolia prima attraverso la Cina e la Siria e poi alla Turchia asiatica ed europea per poi raggiungere la Grecia, l’Egitto e la penisola balcanica. Nel 1347 arrivò in Sicilia e da lì a Genova; nel 1348 aveva infettato la Svizzera eccettuato il Cantone dei Grigioni e tutta la penisola italica risparmiando parzialmente il territorio del Ducato di Milano. Dalla Svizzera si allargò quindi alla Francia e alla Spagna; nel 1349 raggiunse l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda; nel 1353, dopo aver infettato tutta l’Europa, i focolai della malattia si ridussero fino a scomparire. Secondo studi moderni la peste nera uccise almeno un terzo della popolazione del continente, provocando verosimilmente quasi 20 milioni di vittime.
Nel 1346, la peste arrivò in Crimea dall’Asia, seguendo la via della seta. La peste fu portata in Italia nel 1347 da mercanti genovesi sbarcati a Messina, in fuga dalle orde mongole, con l quali viaggiava. Da Messina, la peste si diffuse con i commerci a tutte le città marinare d’Italia, arrivando a Firenze all’inizio dell’anno successivo, il 1348. L’agente patogeno (“Yersinia pestis”) viene trasmessa dalle pulci ai ratti e, attraverso questi, all’uomo.
L’isolamento dei malati nei lazzaretti, il tracciamento dei contagiati, e la fuga in campagna si rivelarono gli unici rimedi efficaci a contrastare la diffusione del morbo;
IV) Rimedi
“…Nessun farmaco, e nessuno dei tanti vaccini provati risultò utile contro l’influenza…Solo evitare il contatto con il virus poteva prevenire la malattia …Sembrava che il virus …fosse un “cacciatore” della specie umana: trovava facile diffusione nelle città, ovviamente. Ma arrivava anche nei paesini, nei villaggi, nelle case di campagna…nelle foreste, nelle giungle, nei ghiacciai…A Francoforte la mortalità raggiunse il 27,3% dei ricoverati con diagnosi di “influenza”…A Parigi, la mortalità fra tutti i ricoverati con complicanze fu del 50%…In Russia ed Iran…la mortalità da influenza-non altrimenti specificata- fu del 7% (op.cit.; pp. 358-363);
“ Ma il virus del 1918 mutò in fretta, come tutti i virus dell’influenza, come tutti i virus che formano sciami di mutanti…(è) il ritorno alla media (“reversion to the mean”) : un evento estremo viene in genere seguito da un evento meno estremo (verso la media)…Non è una legge, ma una probabilità: il virus del 1918 era all’estremo (della letalità), e dunque ogni possibile mutazione l’avrebbe reso meno letale…Col passare del tempo, esso divenne meno letale…” (op. cit.; p. 371) ; “…le città colpite tardivamente dal virus ebbero in genere una mortalità più bassa…un fattore che apparentemente influenzava il tasso di letalità …era il tempo in cui era apparso … il virus appariva attenuato nella fase tardiva…” (op. cit.; p. 372)
V) La malattia del Presidente Thomas Woodrow Wilson (28/12/1856- 03/02/1924)
“…il 3 aprile (1919) …alle ore 3 del pomeriggio, Wilson sembrava star bene…ma, improvvisamente, alle 6 (tre ore dopo…!) egli fu colto da un attacco parossistico di tosse, così violento che gli impediva di respirare. L’attacco di tosse fu così improvviso che Cary Travers Grayson(11/10/ 1878-15/02/1938: Medico Personale del Presidente) ebbe il sospetto che il Presidente fosse stato avvelenato. In una lettera riservata, Grayson segnalò che Wilson ebbe 103 F di febbre (più di 39°C) e diarrea profusa, e che la notte era stata molto critica…Donald Frary, un giovane aiutante della Delegazione USA si ammalò lo stesso giorno, e morì 4 giorni dopo, all’età di 24 anni …” (op. cit.; pp.383-384).
Fine del Quarto Capitolo
Continua con il V e Ultimo Capitolo intitolato: “La Grande Influenza: ricordare per vivere”.