Tacito è con noi (19)
Per i precedenti articoli, andare al link (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/08/tacito-e-con-noi-18/) e poi a ritroso. Vitellio è in marcia verso Roma, dopo essere stato sconfitto a Cremona da legioni fedeli a Vespasiano. Il piano di Vitellio è di conquistare l’Urbe, prima delle truppe fedeli alla Gens Flavia. È un piano rischioso, che richiede dunque uno stratega abile e spregiudicato, cosa che Vitellio non è. Nel 56° paragrafo del III libro delle “Historiæ”, Tacito sottolinea con crudezza l’inadeguatezza e la pusillanimità dell’antagonista di Vespasiano.
Vitellio inetto (Historiæ; III:56)-
Contionanti–prodigiosum dictu–tantum foedarum volucrum supervolitavit ut nube atra diem obtenderent. accessit dirum omen, profugus altaribus taurus disiecto sacrificii apparatu, longe, nec ut feriri hostias mos est, confossus. sed praecipuum ipse Vitellius ostentum erat, ignarus militiae, improvidus consilii, quis ordo agminis, quae cura explorandi, quantus urgendo trahendove bello modus, alios rogitans et ad omnis nuntios vultu quoque et incessu trepidus, dein temulentus. postremo taedio castrorum et audita defectione Misenensis classis Romam revertit, recentissimum quodque vulnus pavens, summi discriminis incuriosus. nam cum transgredi Appenninum integro exercitus sui robore et fessos hieme atque inopia hostis adgredi in aperto foret, dum dispergit viris, acerrimum militem et usque in extrema obstinatum trucidandum capiendumque tradidit, peritissimis centurionum dissentientibus et, si consulerentur, vera dicturis. arcuere eos intimi amicorum Vitellii, ita formatis principis auribus ut aspera quae utilia, nec quidquam nisi iucundum et laesurum acciperet.
Mentre teneva concione, si verificò un evento prodigioso: uccelli di malaugurio volarono in così gran numero sul suo capo, da oscurare il cielo. Sopravvenne un altro sinistro presagio: un toro, scappato dagli altari, rovesciò l’apparato del sacrificio, e fu abbattuto lontano, ma non nel modo rituale. Il prodigio precipuo era lo stesso Vitellio: incompetente del comando, incapace di ogni decisione, andava consultando gli altri sull’ordine di marcia, sui servizi di vedetta, sulla misura da usare nell’accelerare o ritardare le operazioni belliche. Ad ogni riscontro, tremebondo nel volto e nel portamento, e poi, ubriaco. Infine, disgustato della situazione militare, e saputo della defezione della flotta del Miseno, fece ritorno a Roma, impaurito del rovescio più recente, e incapace di pensare al pericolo principale. Quando-finalmente-gli si presentò l’occasione di valicare l’Appennino con il proprio esercito al completo, assalendo così i propri nemici, che erano stremati per il freddo e la fame, egli si mette a disperdere qua e là le proprie forze, esponendo al massacro e alla prigionia soldati valorosissimi, capaci di combattere per lui fino al sacrificio. E tutto ciò, contro il parere dei più esperti dei propri centurioni che avrebbero potuto dirgli la verità, se li avesse interpellati. A tenere lontani i centurioni furono proprio gli amici di Vitellio, le cui orecchie erano fatte in modo che gli risultavano sgradite proprio le parole utili: egli infatti voleva sentirsi dire solo le cose rassicuranti, che pure lo portavano al disastro. Conclusione: Vitellio, ovvero dell’Inettitudine!
Fine Parte XIX (penultima)
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