Tacito è con noi (13)
Riprendiamo il racconto che Tacito fa in maniera magistrale della “Congiura dei Pisoni”: uccisione del console Vestino, amico di dissolutezza dell’Imperatore; del poeta Anneo Lucano ( http://www.treccani.it/enciclopedia/marco-anneo-lucano/), e di tanti altri. Tacito afferma che la causa delle disgrazie del poeta, fu la gelosia di Nerone, poeta fallito e istrione. Le vere ragioni sembrano siano state di carattere politico-filosofico. Lucano, era di orientamento conservatore e di formazione Stoica, quindi doppiamente inviso all’Imperatore. La descrizione della morte di Lucano, grande poeta, all’epoca appena ventiseienne, è tra le pagine più alte degli scritti di Tacito, e della Letteratura di tutti i tempi. Il Poeta, infatti, spirò recitando i versi di un proprio poema dedicato a un soldato morente. Tutte le altre vittime di Nerone appartengono al cerchio dei suoi nemici personali, o di quelli che lui aveva in uggia, in antipatia, o per i quali provava invidia, o rancore. Per gli altri articoli, si può risalire-a ritroso- attraverso il link http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/06/tacito-e-con-noi-12/.
[69] Igitur non crimine, non accusatore existente, quia speciem iudicis induere non poterat, ad vim dominationis conversus Gerellanum tribunum cum cohorte militum immittit. iubetque praevenire conatus consulis, occupare velut arcem eius, opprimere delectam iuventutem, quia Vestinus imminentes foro aedes decoraque servitia et pari aetate habebat. cuncta eo die munia consulis impleverat conviviumque celebra[ba]t, nihil metuens an dissimulando metu, cum ingressi milites vocari eum a tribuno dixere. ille nihil demoratus exsurgit, et omnia simul properantur: clauditur cubiculo, praesto est medicus, abscinduntur venae, vigens adhuc balneo infertur, calida aqua mersatur, nulla edita voce, qua semet miseraretur. circumdati interim custodia qui simul discubuerant, nec nisi provecta nocte omissi sunt, postquam pavorem eorum, ex mensa exitium opperientium, et imaginatus et inridens Nero satis supplicii luisse ait pro epulis consularibus. Poiché mancava sia il reato, sia l’accusatore, e poiché non poteva svolgere il ruolo anche di giudice, fece appello alla propria natura tirannica, e mandò il tribuno Gerellano, accompagnato da una coorte di uomini armati. Gerallano aveva il compito di vanificare ogni reazione del console; di occupare il suo palazzo, che era come un fortilizio, dopo aver sopraffatto la guarnigione di giovani scelti che lo difendeva: Vestino aveva una casa sovrastante il Foro, e giovani servi, tutti della stessa età, che lo difendevano. Quel giorno, dopo aver svolto le proprie funzioni di console, era a pranzo, senza alcuno timore, o almeno simulando di non aver alcun timore. Quando entrarono i soldati, dicendogli che era convocato dal tribuno. Egli si alza senza fare resistenza, e tutto avviene rapidamente: viene chiuso in una stanza; un medico è lì all’uopo, le sue vene sono squarciate. Ancora in pieno vigore, viene trasferito nel bagno, e immerso nell’acqua calda, senza che dalla sua bocca esca alcuna parola né lamento. I convitati vengono circondati dalle guardie, e rilasciati a tarda notte, dopo che Nerone, che si era trastullato ad immaginarsi il terrore di quelli che lasciavano in convivio, per aspettare il supplizio, ebbe dichiarato che tutti loro-per quel pranzo- avevano pagato un prezzo anche troppo alto.
[70] Exim Annaei Lucani caedem imperat is profluente sanguine ubi frigescere pedes manusque et paulatim ab extremis cedere spiritum fervido adhuc et compote mentis pectore intellegit, recordatus carmen a se compositum, quo vulneratum militem per eius modi mortis imaginem obisse tradiderat, versus ipsos rettulit, eaque illi suprema vox fuit. Senecio posthac et Quintianus et Scaevinus non ex priore vitae mollitia, mox reliqui coniuratorum periere, nullo facto dictove memorando.
Quindi ordina l’uccisione di Anneo Lucano. Questi, mentre il sangue scorreva, appena sentì che i piedi e le mani erano diventati freddi, perché la vita gli stava sfuggendo dalle estremità, mentre il cuore continuava a battere e la mente a funzionare, ricordò di aver scritto un carme su un soldato ferito, che moriva in un modo simile. Perciò recitò proprio quei versi, che quindi furono le sue ultime parole. Dopo di ciò, morirono Senecione, Quinziano e Scevino, non da effeminati, come erano vissuti; e tutti gli altri congiurati, che non dissero né fecero cosa degna di ricordo.
[71] Sed compleri interim urbs funeribus, Capitoliam victimis; alius filio, fratre alius aut propinquo aut amico interfectis, agere grates dies, ornare lauru domum, genua ipsius advolvi et dextram osculis fatigare. atque ille gaudium id credens Antonii Natalis et Cervarii Proculi festinata indicia impunitate remuneratur. Milichus praemiis ditatus conservatoris sibi nomen Graeco eius rei vocabulo adsumpsit. e tribunis Gavius Silvanus, quamvis absolutus, sua manu cecidit: Statius Proxumus veniam, quam ab imperatore acceperat, vanitate exitus conrupit. exuti dehinc tribunatu Pompeius * * * , Gaius Martialis, Flavius Nepos, Statius Domitius, quasi principem non quidem odissent, sed tamen ex[is]timarentur. Novio Prosco per amicitiam Senecae et Glitio Gallo atque Annio Pollioni infamatis magis quam convictis data exilia. Priscum Artoria Flaccilla coniux comitata est, Gallum Egnatia Maximilla, magnis primum et integris opibus, post ademptis; quae utraqe gloriam eius auxere. pellitur et Rufrius Crispinus occasione coniurationis, sed Neroni invisus, quod Poppaeam quondam matrimonio tenuerat. Verginium [Flavum et Musonium] Rufum claritudo nominis expulit: nam Verginius studia iuvenum eloquentia, Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Cluvidieno Quieto, Iulio Agrippae, Blitio Catulino, Petronio Prisco, Iulio Altino, velut in agmen et numerum, Aegaei maris insulae permittuntur. at Ca[e]dicia uxor Scaevini et Caesennius Maximus Italia prohibentur, reos fuisse se tantum poena experti. Acilia mater Annaei Lucani sine absolutione, sine supplicio dissimulata.
Intanto, la Città si riempiva di funerali, e il Campidoglio, di vittime. Chi aveva avuto ucciso un fratello, un parente, o un amico, ringraziava gli Dei, addobbava la casa col lauro, si inginocchiava di fronte allo Stesso (Imperatore) e gli sciupava la mano destra con i baci (di ringraziamento). E lui, scambiando tutto ciò per gioia, ricompensa con l’impunità Antonio Natale e Cervario Proculo. Milico, arricchito dalle ricompense, fu chiamato col nome greco di salvatore (Sotère, NdT). Dei tribuni, Gaio Silvano si uccise; Stazio Prossimo, anche se era stato assolto, rese vana, con una morte senza ragione, la grazia concessagli dall’Imperatore. Furono destituiti dal Tribunato: Pompeo …; Cornelio Marziale, Flavio Nepote, Stazio Domizio, perché-anche se nella realtà non odiavano Nerone- erano ritenuti odiarlo. Furono esiliati: Novio Prisco, per l’amicizia con Seneca; Glizio Gallo ed Antonio Pollione, perché sospetti, ma non riscontrati colpevoli. La coniuge Artoria Flaccilia volle condividere la sorte del marito, Prisco; e Egnazia Massimilla, quella del marito, Gallo. Questa possedeva grandissime ricchezze, che -in un primo momento-le furono lasciate, quindi, confiscate, ciò che accrebbe-per due ragioni- la di lei gloria. Viene bandito Rufrio Crispino, con il pretesto della Congiura, ma perché Nerone lo odiava, in quanto era stato marito di Poppea. La celebrità del nome valse l’esilio a Verginio Flavo e a Musonio Rufo, in quanto Verginio-con l’eloquenza; e Musonio, con i precetti della Sapienza (Filosofia) accendevano le passioni dei giovaniCluvidieno Quieto, Giulio Agrippa, Blizio Catulino, Petronio Prisco, e Giulio Altino poterono raggiungere- quasi in gruppo e per fare numero- le isole dell’Egeo. A Cedicia, moglie di Scevino; e a Cesennio Massimo fu inibito di vivere in Italia: solo dopo la condanna, seppero di essere stati incolpati. Acilia, madre di Anneo Lucano, fu dimenticata, in quanto né assolta, né condannata.
Fine della Tredicesima Parte Continua