Pilato, Giuda e Matteo (Ultimo)
“Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov
Capitolo 26° – La Sepoltura
Ultima Parte/ посдняя часть
Termina la serie di articoli dedicati al 26° capitolo del capolavoro di Bulgakov. Per leggere i precedenti, cliccare qui.
Al posto di Afranio, sul balcone salì un giovane sconosciuto, un uomo magro (che procedeva) a fianco del gigantesco Centurione, il quale, decifrando gli sguardi del procuratore, immediatamente arretrò nel giardino e scomparve.
Il Procuratore studiava l’uomo che stava arrivando. Con sguardi febbrili e preoccupati, osservava l’uomo di cui si era tanto parlato e a cui tanto si era pensato, uomo che alla fine stava facendo la propria comparsa. L’uomo che era appena arrivato, di circa 40 anni, era scuro, cencioso, sporco – di una sporcizia inveterata – guatava a testa abbassata, alla maniera dei lupi. Insomma, era davvero malandato e somigliava in tutto e per tutto a un mendicante di città, di quelli che – in gran numero – si accalcano sulle terrazze del Tempio, e nei bazar rumorosi e litigiosi della Città Bassa. Il silenzio fu lungo, e fu rotto dallo strano comportamento dell’uomo appena presentatosi a Pilato. Infatti, l’uomo – all’improvviso – sbiancò vacillando e sarebbe anche caduto, se non si fosse appoggiato ai bordi del tavolo.
“ Che ti sta succedendo?”
“ Niente!” – rispose Levi Matteo, facendo un movimento, come per inghiottire qualcosa. Il suo collo magro, sporco e nudo, si gonfiò e si sgonfiò.
“ Che ti succede? Rispondi !” – ripeté Pilato.
“ Sono stanco” – rispose cupamente Levi, fissando il pavimento.
“ Allora siediti!” – disse Pilato, indicando una poltrona.
Levi guardò il Procuratore con diffidenza, si spostò verso la poltrona, lanciò spaventato un’occhiata ai braccioli d’oro della poltrona, e non vi si sedette sopra, ma a fianco di essa, sul pavimento.
“ Spiegami, perché non ti siedi sulla poltrona!” – chiese Pilato.
“ Sono sporco, e la imbratterei” – disse Levi, guardando per terra.
“ Adesso avrai da mangiare”.
“ Non voglio mangiare” rispose Levi.
“ Perché mentire?” – a bassa voce, domandò Pilato –
“ Non hai mangiato per un giorno intero, e forse anche più. Va bene, non mangi. Ma io ti ho chiamato perché tu mi mostri il coltello in tuo possesso”.
“ I soldati me lo hanno tolto, prima di condurmi qui” – rispose Levi e con cupezza aggiunse – “ Voi non avete intenzione di rendermelo, ma io devo restituirlo al proprietario, perché l’ho rubato”.
“ Perché?”
“ Per tagliare le corde” – rispose Levi.
“ Marco! “ – urlò il Procuratore, e il centurione comparve sotto il colonnato –
“ Mi porti il coltello di quest’uomo!”.
Il Centurione estrasse, da uno dei foderi della cintura, un coltello da pane, sporco e, consegnatolo al Procuratore, si allontanò.
“ A chi lo hai rubato?”
“ A una bottega di pane, vicino alla Porta di Hebron, subito sulla sinistra”. Pilato osservò la grande lama, con un dito provò la filatura del coltello, e poi disse:
“ Non preoccuparti del coltello: tornerà alla bottega dove l’hai preso! Ma ora mi serve una seconda cosa: mostrami la carta che hai con te, e dove hai riportate le parole di Gesù”. Levi guardò con odio Pilato, e gli sorrise – con un sorriso così maligno – che ne ebbe il viso deformato:
“ Mi vuole togliere tutto, anche l’ultima cosa che mi è rimasta? – chiese.
“ Non ti ho detto <consegnami> . Ti ho detto < mostrami> “.
Levi si frugò in petto, e ne tirò fuori un pezzo di pergamena. Pilato lo afferrò, lo aprì , lo stese tra le fiaccole e, socchiudendo gli occhi, cominciò a guardare i capricciosi caratteri di inchiostro. Era del resto difficile capire quelle righe irregolari. Pilato faceva delle smorfie, piegandosi sulla pergamena e passando le dita sulle righe. Gli sembrò di capire che proprio quello scritto era una sconclusionata serie di massime; di date; di appunti di economia; e di brani poetici. Pilato lesse qualcosa: < Pena capitale – no…Ieri abbiamo mangiato i dolci di primavera…>.
Facendo delle smorfie per la tensione, Pilato aguzzò lo sguardo e lesse: <Noi incontreremo una pura sorgente di acqua di vita…L’umanità guarderà il sole attraverso un cristallo trasparente…>. Pilato sobbalzò, quando – nelle ultime righe – distinse le parole: <il più grande peccato è la viltà…>.
Pilato arrotolò la pergamena, che con gesto brusco restituì a Levi:
“ Prendi!” – disse e – dopo un lungo silenzio – aggiunse:
“ A quanto vedo tu sei un uomo istruito, ma a te che sei un solitario, non conviene andare in giro vestito come un mendicante, senza una fissa dimora. A Cesarea, ho una biblioteca grandissima; sono molto ricco, e intendo prenderti al mio servizio. Potrai comprare e tenere i papiri, e ti saranno forniti anche dei vestiti”.
Levi si alzò in piedi e rispose:
“No, non accetto!”
“ Perché?” – chiese cupamente il Procuratore –
“ Non ti piaccio, o hai paura di me? “.
Allora un sorriso cattivo stravolse il viso di Levi, che disse:
“ No, sei tu che avrai paura di me! Non ti sarà facile guardami in faccia, perché l’hai ucciso”.
“ Sta’ zitto, e prendi i soldi” – rispose Pilato.
Levi scosse negativamente la testa, ma il Procuratore continuò:
“ So che ti definisci discepolo di Gesù, ma io ti dico che non hai imparato niente dai Suoi insegnamenti. Perché, in quel caso, mi faresti delle domande. Ricordati anche di ciò che disse prima di morire, e ciò che egli non accusava nessuno”.
Pilato aveva alzato il dito in alto, e il suo viso era agitato:
“ Lui stesso avrebbe fatto delle domande. Tu sei violento, ma Lui non lo era. Dove stai andando?”.
Levi si avvicinò al tavolo, vi si appoggiò con entrambe le mani e, dopo aver – con occhi febbrili – fissato il Procuratore, cominciò a bisbigliargli:
“ Egemone, sappi che a Gerusalemme sto per uccidere un uomo. Te lo voglio dire, affinché tu sappia che sta per scorrere dell’altro sangue”.
“ Invece io so che non ne scorrerà più” – rispose Pilato –
“ Con le tue parole, non mi hai affatto sorpreso. Hai certo voglia di scannare me?”
“ Non sono in grado di scannare te” – rispose Levi –
“ Non sono così stupido da non capire una cosa così. Invece, io ucciderò Giuda di Kyriat. A ciò voglio dedicare il resto della mia vita”.
La gioia si manifestò negli occhi del Procuratore, che richiamato con un dito, più vicino a sé Levi, gli disse:
“ Eppure non ti riuscirà di farlo, non disturbarti . Giuda è stato scannato questa notte”.
Levi con un balzo si allontanò dal tavolo, si guardò intorno con meraviglia grandissima, e urlando disse:
“ Chi è stato ?”.
“ Non diventarmi geloso” – sghignazzando e fregandosi le mani, rispose Pilato –
“ Temo che i tuoi amici lo abbiano fatto, senza chiamarti”.
“ Chi?”– ripeté sottovoce Levi. Pilato gli rispose:
“ Io!”.
Levi spalancò la bocca, fissò il Procuratore, che gli disse:
“ E’ stato fatto poco, ma quel poco l’ho fatto io!” – e aggiunse –
“ E dai! Mangi qualcosa? “.
Fattosi più accomodante, Levi si mise a pensare, e disse alla fine:
“ Ordina che mi sia dato un pezzo di pergamena nuovo”.
Passò un’ora: Levi non si trovava più nel Palazzo. All’alba, il silenzio fu turbato dal passo discreto delle sentinelle. La luna era sbiadita rapidamente. Sul lembo opposto del cielo si vedeva la piccola macchia biancastra della Stella del Mattino. Le lampade si erano spente ad una ad una. Il Procuratore se ne stava disteso a letto e, con una mano sotto la nuca, dormiva senza far rumore. Accanto a lui, c’era Banga.
Così il Quinto procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, accolse l’alba del giorno 15° del mese di Nisan.