La peste ad Atene (I)
I)Tucidide ( Θουκυδίδης) racconta che la peste colpì Atene durante la “Guerra del Peloponneso” , detta anche la “Grande Guerra Civile Greca del V secolo a.C.”.
1) Tucidide nacque ad Atene il 460 a.C. circa; morì dopo il 404 a.C., ma, secondo altri, dopo il 399 a.C. Uomo colto, cresciuto nei circoli intellettuali di Atene, era pessimista, scettico, di grande intelligenza, freddo e riservato. Scrisse in uno stile complicato, pesante, e senza attrattive, ciò che sanno bene (!)tutti quegli studenti del Liceo Classico (quorum ego!), e dell’Università, che hanno dovuto tradurlo. È ritenuto il fondatore della Storiografia, in quanto fu il primo Storico a narrare solo fatti realmente accaduti, senza ricorrere al mito, o alle narrazioni epico-popolari.
2) Scrisse una sola opera, che in Italiano è intitolata: “ La Guerra del Peloponneso” (431-404 a.C.), e nel Greco originale “Storie” (Ἱστορίαι, Historíai). “Storia” proviene da ἱστορία (istoria) e dal latino “historia”, e significa “ricerca”.
3) Secondo Tucidide, propedeutica alla Guerra (Πόλεμος) del Peloponneso-tra le πόλεις greche- fu la στασις (stasis) la guerra civile interna alle singole città.
II) La Guerra del Peloponneso (421-403):
1) Prima Fase (431-421): gli Spartani effettuano le prime invasioni dell’Attica;
2) Pace di Nicia (421): della durata 50 anni, tra Atene e Sparta. Le parti si impegnano a restituire le rispettive conquiste realizzate nel corso della guerra;
3) 421-414: i termini della Pace di Nicia non sono rispettati;
4) 414: Spedizione di Atene contro Siracusa. Sparta invia aiuti a Siracusa, contro Atene;
5) 413: Demostene parte per la Sicilia. La flotta ateniese viene sconfitta nel Porto Grande di Siracusa;
6) 413-404: l’Attica è sottoposta a saccheggi e devastazioni; Atene stessa è minacciata. Con l’appoggio della Persia, gli Spartani favoriscono la defezione delle città greche d’Asia aderenti alla Lega delio-attica;
7) 404: Ambasceria di Teramene (Atene) presso Lisandro (Sparta) che detta le condizioni della pace: capitolazione di Atene e pace con Sparta. Lisandro entra al Pireo e, secondo i termini della resa, le Lunghe Mura son abbattute, la Lega delio-attica sciolta. Molti democratici sono condannati a morte o esiliati. Teramene, dopo un’adesione iniziale, si dissocia dai Trenta, che lo portano a giudizio e lo condannano a morte. Capitolazione di Samo. Morte di Alcibiade;
8) 403: Gli esuli democratici tornano ad Atene sotto la guida di Trasibulo. Abbattimento del Regime dei Trenta e restaurazione della Democrazia.
III) Dal Discorso di Pericle:
«Perciò, dopo aver giudicato che essere felici significa essere liberi, [hanno capito che] essere liberi significa essere coraggiosi, cioè non rifuggire dai rischi della guerra.» (Pericle: in “La guerra del Peloponneso”II:43)
- IV) La peste ad Atene (Libro II):
48. A quanto si dice, comparve per la prima volta in Etiopia al 111 Tucidide – Storie di là dell’Egitto, calò poi nell’Egitto e in Libia e si diffuse in quasi tutti i domini del re. Su Atene si abbatté fulmineo, attaccando per primi gli abitanti del Pireo. Cosicché si mormorava che ne sarebbero stati colpevoli i Peloponnesi, con l’inquinare le cisterne d’acqua piovana mediante veleno: s’era ancora sprovvisti d’acqua di fonte, laggiù al Pireo. Ma il contagio non tardò troppo a dilagare nella città alta, e il numero dei decessi ad ampliarsi, con una progressione sempre più irrefrenabile. Ora chiunque, esperto o profano di scienza medica, può esprimere quanto ha appreso e pensa sull’epidemia: dove si possa verosimilmente individuare il focolaio infettivo originario e quali fattori siano sufficienti a far degenerare con così grave e funesta cadenza la situazione. Per parte mia, esporrò gli aspetti in cui si manifestava, enumerandone i segni caratteristici, il cui studio riuscirà utile, nel caso che il flagello infierisca in futuro, a riconoscerlo in qualche modo, confrontando i sintomi precedentemente appurati. La mia relazione si fonda su personali esperienze: ho sofferto la malattia e ne ho osservato in altri il decorso.49. Quell’anno, a giudizio di tutti, era trascorso completamente immune da altre forme di malattia. E se qualcuno aveva contratto in precedenza un morbo, questo degenerava senza eccezione nella presente infermità. Gli altri, senza motivo visibile, all’improvviso, mentre fino a quell’attimo erano perfettamente sani, erano dapprima assaliti da forti vampe al capo. Contemporaneo l’arrossamento e l’infiammato enfiarsi degli occhi. All’interno, organi come la laringe e la lingua prendevano subito a buttare sangue. Il respiro esalava irregolare e fetido. Sopraggiungevano altri sintomi, dopo i primi: starnuto e raucedine. In breve il male calava nel petto, con violenti attacchi di tosse. Penetrava e si fissava poi nello stomaco: onde nausee frequenti, accompagnate da tutte quelle forme di evacuazione della bile che i medici hanno catalogato con i loro nomi. In questa fase le sofferenze erano molto acute. In più casi, l’infermo era squassato da urti di vomito, a vuoto, che gli procuravano all’interno spasimi tremendi: per alcuni, ciò avveniva subito dopo che si erano diradati i sintomi precedenti, mentre altri dovevano attendere lungo tempo. Al tocco esterno il corpo non rivelava una temperatura elevata fuori dell’ordinario, né un eccessivo pallore: ma si presentava rossastro, livido, coperto da una fioritura di pustolette e di minuscole ulcerazioni. Dentro, il malato bruciava di tale arsura da non tollerare neppure il contatto di vesti o tessuti per quanto leggeri, o di veli: solo nudo poteva resistere. Il loro più grande 112 Senecio: Classici Latini e Greci sollievo era di poter gettarsi nell’acqua fredda. E non pochi vi riuscirono, eludendo la sorveglianza dei loro familiari e lanciandosi nei pozzi, in preda a una sete insaziabile. Ma il bere misurato o abbondante produceva il medesimo effetto. Senza pause li tormentava l’insonnia e l’impossibilità assoluta di riposare. Le energie fisiche non si andavano spegnendo, nel periodo in cui la virulenza del male toccava l’acme, ma rivelavano di poter resistere in modo inaspettato e incredibile ai patimenti: sicché in molti casi la morte sopraggiungeva al nono e al settimo giorno, per effetto dell’interna arsura, mentre il malato era ancora discretamente in forze. Se invece superava la fase critica, il male s’estendeva aggredendo gli intestini, al cui interno si produceva una ulcerazione disastrosa accompagnata da una violenta diarrea: ne conseguiva una spossatezza, un esaurimento molte volte mortali. La malattia, circoscritta dapprima in alto, alla testa, si ampliava in seguito percorrendo tutto il corpo, e se si usciva vivi dagli stadi più acuti, il suo marchio restava, a denunciarne il passaggio, almeno alle estremità. Ne rimanevano intaccati i genitali, e le punte dei piedi e delle mani: molti, sopravvivendo al male, perdevano la facoltà di usare questi organi alcuni restavano privi anche degli occhi. Vi fu anche chi riacquistata appena la salute, fu colto da un oblio così profondo e completo da non conservare nemmeno la coscienza di se stesso e da ignorare i suoi cari.
Fine Prima Parte – Continua