Tacito è con noi (16)
Continuano gli articoli dedicati a Tacito. Per i precedenti, attraverso il link( http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/06/tacito-e-con-noi-15/), si può risalire a tutti quelli pubblicati. Qui ci occupiamo di Vitellio, (http://it.cathopedia.org/wiki/Vitellio_(imperatore) il terzo dei 4 Imperatori: il primo fu Galba (http://www.treccani.it/enciclopedia/servio-sulpicio-galba/): Il secondo, Otone (http://www.treccani.it/enciclopedia/otone/); il terzo, Vitellio, che- nell’anno 69 d.C.- arriva a Roma, dove viene proclamato, dal Senato e dalla plebe, Imperatore (“Historiæ”; II:88-91). Vespasiano (http://it.cathopedia.org/wiki/Vespasiano), il 4° Imperatore dell’anno 69 d.C., gli subentrerà, e inizierà l’epoca Flavia.
[88] Multae et atroces inter se militum caedes, post seditionem Ticini coeptam manente legionum auxiliorumque discordia; ubi adversus paganos certandum foret, consensu. sed plurima strages ad septimum ab urbe lapidem. singulis ibi militibus Vitellius paratos cibos ut gladiatoriam saginam dividebat; et effusa plebes totis se castris miscuerat. incuriosos milites–vernacula utebantur urbanitate–quidam spoliavere, abscisis furtim balteis an accincti forent rogitantes. non tulit ludibrium insolens contumeliarum animus: inermem populum gladiis invasere. caesus inter alios pater militis, cum filium comitaretur; deinde agnitus et vulgata caede temperatum ab innoxiis. in urbe tamen trepidatum praecurrentibus passim militibus; forum maxime petebant, cupidine visendi locum in quo Galba iacuisset. nec minus saevum spectaculum erant ipsi, tergis ferarum et ingentibus telis horrentes, cum turbam populi per inscitiam parum vitarent, aut ubi lubrico viae vel occursu alicuius procidissent, ad iurgium, mox ad manus et ferrum transirent. quin et tribuni praefectique cum terrore et armatorum catervis volitabant.
Dopo che era iniziata la rivolta sul Ticino, le reciproche uccisioni di soldati furono molte ed atroci, perdurando l’ostilità fra i soldati e gli ausiliarî, che erano concordi solo nell’andare contro la gente del luogo. Ma la strage più grande avvenne a 7 miglia da Roma. Qui, Vitellio distribuiva ad ogni soldato cibi preparati come quelli per nutrire i gladiatori. La plebe si era riversata in tutto il campo. Alcuni disarmarono dei soldati distratti, scherzando all’uso romano, e avendo loro tagliato la cintura, domandavano se fossero armati. Il loro animo, non avvezzo al ludibrio, non tollerò lo scherzo. E così, i soldati attaccarono con le spade, il popolo inerme fu assalito con le spade. Venne ucciso, tra gli altri, il padre di un soldato, mente accompagnava il figlio. In seguito, fu riconosciuto e la notizia di quell’errore fece risparmiare molte vite. Ma a Roma ci fu grande scompiglio, perché la invadevano disordinatamente soldati che si erano spinti in avanti. Essi andavano in particolare verso il Foro, dove era stato ucciso Galba. Essi stessi erano uno spettacolo no meno temibili: irti di pelli ferine e di enormi picche, non sapevano destreggiarsi per evitare la folla e, quando cadevano, o scivolando sul selciato, o spinti da qualcuno, subito passavano agli insulti, poi alle mani e quindi alle armi. Anche tribuni e prefetti volteggiavano da ogni parte con bande armate, seminando terrore.
[89] Ipse Vitellius a ponte Mulvio insigni equo, paludatus accinctusque, senatum et populum ante se agens, quo minus ut captam urbem ingrederetur, amicorum consilio deterritus, sumpta praetexta et composito agmine incessit. quattuor legionum aquilae per frontem totidemque circa e legionibus aliis vexilla, mox duodecim alarum signa et post peditum ordines eques; dein quattuor et triginta cohortes, ut nomina gentium aut species armorum forent, discretae. ante aquilas praefecti castrorum tribunique et primi centurionum candida veste, ceteri iuxta suam quisque centuriam, armis donisque fulgentes; et militum phalerae torquesque splendebant: decora facies et non Vitellio principe dignus exercitus. sic Capitolium ingressus atque ibi matrem complexus Augustae nomine honoravit.
Dal suo canto, su un cavallo magnifico, Vitellio partì dal ponte Milvio, con spada e paludamento, spingendo davanti a sé il popolo e il senato. E sarebbe entrata come in una città conquistata, se non lo avessero sconsigliato gli amici. Indossata la pretesta (http://www.treccani.it/enciclopedia/pretesta/), avanzò a piedi, con le truppe in ordine di marcia. In testa, le aquile di 4 legioni; intorno i distaccamenti di altre 4; quindi le insegne di 12 ali di cavalleria; dietro le linee dei fanti, procedevano i cavalieri. In seguito, 34 coorti, distribuite secondo i nomi delle loro nazioni e la qualità delle armi. Davanti alle aquile, i prefetti del campo, i tribuni e i centurioni del primo ordine, in veste candida. Gli altri fiancheggiavano, ciascuno la propria centuria, nello splendore delle armi e delle decorazioni. Anche le falere e le collane dei soldati splendevano: schieramento grandioso, degno di un capo che non fosse Vitellio. Giunto così in Campidoglio, abbracciò la madre e la onorò col nome di Augusta.
[90] Postera die tamquam apud alterius civitatis senatum populumque magnificam orationem de semet ipso prompsit, industriam temperantiamque suam laudibus attollens, consciis flagitiorum ipsis qui aderant omnique Italia, per quam somno et luxu pudendus incesserat. vulgus tamen vacuum curis et sine falsi verique discrimine solitas adulationes edoctum clamore et vocibus adstrepebat; abnuentique nomen Augusti expressere ut adsumeret, tam frustra quam recusaverat.
Il giorno dopo, come se fosse di fronte al senato e al popolo di un’altra città, pronunciò un magnifico discorso con elogio di se medesimo, esaltando la propria attività e la propria temperanza, mentre i presenti e tutta l’Italia erano a conoscenze delle sue nefandezze. Italia, che lui aveva attraversato dando scandalo con la sua irresolutezza e le sue sregolatezze. Tuttavia, il volgo, spensierato e incapace di discernimento, ma ben edotto all’adulazione, lo acclamava con grida e fragori. E quando Vitellio voleva ricusare il titolo di Augusto, lo forzarono ad accettarlo: accettazione altrettanto fatua, quanto lo era stato il rifiuto.
[91] Apud civitatem cuncta interpretantem funesti ominis loco acceptum est quod maximum pontificatum adeptus Vitellius de caerimoniis publicis XV kalendas Augustas edixisset, antiquitus infausto die Cremerensi Alliensique cladibus: adeo omnis humani divinique iuris expers, pari libertorum amicorum socordia, velut inter temulentos agebat. sed comitia consulum cum candidatis civiliter celebrans omnem infimae plebis rumorem in theatro ut spectator, in circo ut fautor adfectavit: quae grata sane et popularia, si a virtutibus proficiscerentur, memoria vitae prioris indecora et vilia accipiebantur. ventitabat in senatum, etiam cum parvis de rebus patres consulerentur. ac forte Priscus Helvidius praetor designatus contra studium eius censuerat. commotus primo Vitellius, non tamen ultra quam tribunos plebis in auxilium spretae potestatis advocavit; mox mitigantibus amicis, qui altiorem iracundiam eius verebantur, nihil novi accidisse respondit quod duo senatores in re publica dissentirent; solitum se etiam Thraseae contra dicere. inrisere plerique impudentiam aemulationis; aliis id ipsum placebat quod neminem ex praepotentibus, sed Thraseam ad exemplar verae gloriae legisset.
Da parte di una città superstiziosa, fu visto come segno di malaugurio il fatto che Vitellio, nominato Pontefice Massimo, avesse emanato un editto sulle cerimonie pubbliche, nel giorno quindicesimo prima delle calende di agosto (18 luglio; NdT) considerato infausto fino dall’antichità, per le sconfitte di Cremera e dell’Allia. Egli infatti era oltremodo ignorante del diritto umano e divino; e così erano i liberti e i suoi amici, per cui egli viveva come fosse in mezzo a ubriachi. Ma poiché se ne andava in giro come un semplice privato, a raccomandare i propri candidati al consolato, si guadagnò il favore della plebe, a cui si frammischiava da spettatore a teatro, e da fautore di una fazione al circo. Questi atteggiamenti potevano certo risultare graditi al popolo, se avessero avuto intenzioni virtuose, ma erano giudicati impropri per la vita che Vitellio aveva fino ad allora condotto. Si presentava spesso in Senato, anche quando si discutevano argomenti di scarso rilievo. Una volta Elvidio Prisco aveva espresso un’opinione contraria a quella di Vitellio. In un primo momento, Vitellio ne fu turbato, non tanto da spingersi al di là di un appello ai tribuni della plebe, perché sostenessero la sua autorità misconosciuta. Poiché i suoi amici-temendo che la sua ira fosse più profonda di quanto apparisse- egli rispose che non era una cosa nuova, se due senatori si trovavano in disaccordo su una questione di governo, e gli egli stesso aveva più volte contraddetto anche Trasea (http://www.treccani.it/enciclopedia/trasea-peto/). Molti derisero l’impudenza del paragone. Ad altri-invece-piacque che egli avesse scelto Trasea, come esemplare di vera gloria, e non uno dei tanti uomini potenti.
Fine Diciassettesima Parte
Continua
E’ meraviglioso rileggere Tacito e tornare agli anni del liceo.Complimenti per l,’iniziativa Il Latino merita di essere rivalutato perche’ rappresenta in formidabile esercizio per la logica.
Grazie per il Suo incoraggiamento. Spero che continui a leggerci.