Tacito è con noi (9)
Pisone, alla vigilia dell’agguato contro Nerone, fa testamento, concede la libertà ai servi, e affranca i liberti. Uno di questi, Milico, per avidità e/o per paura della repressione imperiale si fa ricevere dall’Imperatore, e denuncia la Congiura. Comincia una repressione feroce, spietata e delirante, di cui saranno vittime-innocenti-Lucio Anneo Seneca, filosofo e “Primo Ministro” di Nerone, e suo nipote, il grande poeta Marco Anneo Lucano, autore della “Farsalia”, ovvero “De Bello Civili”. Per gli altri articoli, attraverso questo link, puoi risalire (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/05/tacito-e-con-noi-8/) a tutti gli altri. Indimenticabile e commovente il ritratto che Tacito fa di Seneca, anziano e malato, alle prese con gli sgherri della polizia segreta di Nerone & Tigellino. Ancora oggi, a più di 1900 anni di distanza, si viene presi dallo sgomento e dal terrore, nel leggere le gesta folli e criminali del folle e criminale Nerone.
[59] Fuere qui prodita coniuratione, dum auditur Milichus, dum dubitat Scaevinus, hortarentur Pisonem pergere in castra aut rostra escendere studiaque militum et populi temptare. si conatibus eius conscii adgregarentur, secuturos etiam integros; magnamque motae rei famam, quae plurimum in novis consiliis valeret. nihil adversum haec Neroni provisum. etaim fortes viros subitis terreri, nedum ille scaenicus, Tigellino scilicet cum paelicibus suis comitante, arma contra cieret. multa experiendo confieri, quae segnibus ardua videantur. frustra silentium et fidem in tot consciorum animis et corporibus sperare: cruciatui aut praemio cuncta pervia esse. venturos qui ipsum quoque vincirent, postremo indigna nece adficerent. quanto laudabilius periturum, dum amplectitur rem publicam, dum auxilia libertati invocat! miles potius deesset et plebes desereret, dum ipse maioribus, dum posteris, si vita praeriperetur, mortem adprobaret. immotus his et paululum in publico versatus, post domi secretus animum adversum suprema firmabat, donec manus militum adveniret, quos Nero tirones aut stipendiis recentes delegerat: nam vetus miles timebatur tamquam favore imbutus. obiit abruptis brachiorum venis. testamentum foedis adversus Neronem adulationibus amori uxoris dedit, quam degenerem et sola corporis forma commendatam amici matrimonio abstulerat. nomen mulieri Satria Galla, priori marito Domitius Silus: hic patientia, illa impudica Pisonis infamiam propagavere.
Ci furono coloro, una volta che la congiura era stata scoperta, mentre Milico parlava e Scevino tentennava, invitavano Pisone a correre al campo dei pretoriani, oppure a salire sulla tribuna, per saggiare la disposizione del sodati e del popolo. Se tutti quelli che ne erano a conoscenza si fossero associati ai suoi tentativi, si sarebbero aggiunti anche tutti gli altri, (suscitando) molto rumore, che nei rivolgimenti vale più di tutto. Nerone, niente aveva predisposto contro questa mossa. Le iniziative improvvise scuotono anche i più forti, e tanto meno avrebbe opposto le armi alle armi, quel commediante di Nerone, con Tigellino e con le concubine. Molte imprese, che ai dubbiosi paiono difficili, all’atto pratico si rivelano fattibili. Invano egli (Pisone) sperava nel silenzio e nella fedeltà in mezzo a tanti complici, messi alla prova nell’animo e nel corpo: tutto si può ottenere con la tortura o col premio (in denaro). Anche lui sarebbero venuti ad arrestare, e gli avrebbero inflitto una morte nel disonore. Quanta maggior gloria perire stringendosi al cuore la patria, invocando aiuto per la libertà. Anche se lo avessero abbandonato i soldati, e la plebe, gli antenati e i posteri avrebbero ammirato la sua morte. Non scosso da questi discorsi, si chiuse in casa, dopo una breve apparizione in pubblico. Stava preparando il proprio animo alla prova suprema, quando sopraggiunse una manipolo di soldati, che Nerone aveva scelto tra le reclute o tra quelli che erano in servizio da poco, per il timore che i veterani mostrassero simpatia per Pisone, il quale si diede la vita tagliandosi le vene dei polsi. Si era abbassato a redigere un testamento pieno di umilianti verso Nerone, spinto dall’amore verso la moglie, donna di bassa condizione, che egli aveva sottratto al talamo di un amico, e della quale era da lodare solo la bellezza. La donna si chiamava Satria Galla, e il suo primo marito era stato Domizio Silo: questi con la sua acquiescenza, quella con la impudicizia avevano infamato il nome di Pisone.
[60] Proximam necem Plautii Laterani consulis designati Nero adiungit, adeo propere, ut non complect liberos, non illud breve mortis arbitrium permitteret. raptus in locum servilibus poenis sepositum manu Statii tribuni trucidatur, plenus constantis silentii nec tribuno obiciens eandem conscientiam. Sequitur caedes Annaei Senecae, laetissima principi, non quia coniurationis manifestum compererat, sed ut ferro grassaretur, quando venenum non processerat. solus quippe Natalis et hactenus prompsit, missum se ad aegrotum Senecam, uti viseret conquerereturque, cur Pisonem aditu arceret: melius fore, si amicitiam familiari congressu exercuissent. et respondisse Senecam sermone mutuos et crebra conloquia neutri conducere; ceterum salutem suam incolumitate Pisonis inniti. haec ferre Gavius Silvanus tribunus praetoriae cohortis, et an dicta Natalis suaque responsa nosceret percunctari Senecam iubetur. is forte an prudens ad eum diem ex Campania remeaverat quartumque apud lapidem suburbano rure substiterat. illo propinqua vespera tribunus venit et villam globis militum saepsit; tum ipsi cum Pompeia Paulina uxore et amicis duobus epulanti mandata imperatoris edidit.
Nerone uccide successivamente il console designato Plauzio Laterano, e lo fa uccidere con tanta rapidità, da non consentirgli neanche di abbracciare i figli, né di scegliere il modo di morire. Condotto in un luogo adibito alle torture contro gli schiavi, viene ucciso per mano del tribuno Stazio, tutto nel silenzio, che non fu rotto neanche per contestargli la complicità nella congiura. Segue la fine di Anneo Seneca, graditissima all’Imperatore, non perché era stata accertata la partecipazione alla congiura, ma per procedere col ferro, dove non era riuscito il veleno. Per la verità, fu interrogato solo Natale, che si limitò a dire di essere stato inviato a Seneca malato, per fargli visita, e per rinfacciargli di aver chiuso le porte a Pisone: meglio sarebbe stato se avessero tenuto in piedi l’amicizia, incontrandosi segretamente. Seneca avrebbe risposto che scambi di idee e visite frequenti non giovavano né all’uno, né all’altro, e che- del resto- la propria incolumità dipendeva dall’incolumità di Pisone. Gaio Silvano, tribuno di una corte di pretoriani, ricevette l’ordine di riferire questa dichiarazione a Seneca, chiedendogli se la confermava. Fu per caso, o per prudenza, ma Seneca proprio quel giorno era tornato dalla Campania, e si era fermato in un suo podere nel suburbio, a poche miglia da Roma. Il tribuno giunse qui al vespro. Fece circondare la casa con manipoli di soldati, e portò gli ordini dell’Imperatore allo stesso Seneca, che stava cenando con la moglie Pompea Paolina.
[61] Seneca missum ad se Natalem conquestumque nomine Pisonis, quod a visendo eo prohiberetur, seque rationem valetudinis et amorem quietis excusavisse respondit. cur salutem privati hominis incolumitati suae anteferret, causam non habuisse; nec sibi promptum in adulationes ingenium. idque nulli magis gnarum quam Neroni, qui saepius libertatem Senecae quam servitium expertus esset. ubi haec a tribuno relata sunt Poppaea et Tigellino coram, quod erat saevienti principi intimum consiliorum, interrogat an Seneca voluntariam mortem pararet. tum tribunus nulla pavoris signa, nihil triste in verbis eius aut vultu deprensum confirmavit. ergo regredi et indicere mortem iubetur. tradit Fabius Rusticus non eo quo venerat intinere redi[sse] t[ribun]um, sed flexisse ad Faenium praefectum et expositis Caesaris iussis an obtemperaret interrogavisse, monitumque ab eo ut exsequeretur, fatali omnium ignavia. nam et Silvanus inter coniuratos erat augebatque scelera, in quorum ultionem consenserat. voci tamen et adspectui pepercit intromisitque ad Senecam unum ex centurionibus, qui necessitatem ultimam denuntiaret.
Quello (Seneca) -imperturbabile- chiede le tavolette per il testamento. Poiché il centurione gliele vietava, rivolto agli amici dichiara che, essendo proibito di compensare i loro meriti, lascia loro in eredità l’unica cosa rimastagli: il ricordo della sua vita. Se l’avessero ricordata, avrebbero avuto -in cambio della costante amicizia- la fama di una esistenza specchiata. Pone termine alle loro lacrime, col ragionamento, e con la severità. Quindi-quasi a forza li richiama alla fermezza- chiedendo loro: “Dove sono finiti gli insegnamenti della saggezza, dove le meditazioni su come fronteggiare l’irrompere delle sciagure? Chi di loro era ignaro della ferocia di Nerone? Per il quale, dopo quella della madre e del fratello, non restava che l’assassinio di colui che gli era stato educatore e maestro.
Fine Nona Parte
Continua