Tacito é con noi (12)

Tacito è con noi (12)   

Interrompiamo la trattazione della Congiura dei Pisoni, che completeremo nei capitoli 13 e 14, per parlare di uno straordinario discorso, che possiamo chiamare “Apologia di Roma”. Siamo nel 70 d.C. La tremenda guerra civile dei “Tre Imperatori” (Galba, Otone e Vitellio) si è conclusa con la morte dei tre. Flavio Vespasiano, conquistatore della Giudea, di età ormai avanzata (69 anni) viene acclamato Imperatore dalle Legioni dell’Asia e dell’Africa. Le Gallie e la Germania si sono ribellate, e le Legioni Romane hanno subito rovesci, anche pesanti. Nel momento in cui i Galli e i Germani sembrano sul punto di unire le proprie forze, Petilio Ceriale, a capo delle Legioni di stanza in Germania, arriva a Treviri, e qui arringa le truppe. Nel suo discorso, egli fa una straordinaria apologia di Roma. Secondo gli Studiosi, questo Discorso di grande valore storico-filosofico, è una totale trasposizione del pensiero di Publio Cornelio Tacito. Perciò lo proponiamo come uno dei pochi “documenti filosofici” dell’Autore degli Annales e delle Historiae.    Rimandiamo ai capitoli precedenti-dedicati a Tacito- attraverso il link (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/06/tacito-e-con-noi-11/                                                   ), dal quale si risalire a ritroso a tutti gli altri, fino al primo.

Treviri- Porta Nigra

Treviri- Porta Nigra

 

 

 

 

[73] Mox Treviros ac Lingonas ad contionem vocatos ita adloquitur: ‘neque ego umquam facundiam exercui, et populi Romani virtutem armis adfirmavi: sed quoniam apud vos verba plurimum valent bonaque ac mala non sua natura, sed vocibus seditiosorum aestimantur, statui pauca disserere quae profligato bello utilius sit vobis audisse quam nobis dixisse. terram vestram ceterorumque Gallorum ingressi sunt duces imperatoresque Romani nulla cupidine, sed maioribus vestris invocantibus, quos discordiae usque ad exitium fatigabant, et acciti auxilio Germani sociis pariter atque hostibus servitutem imposuerant. quot proeliis adversus Cimbros Teutonosque, quantis exercituum nostrorum laboribus quove eventu Germanica bella tractaverimus, satis clarum. nec ideo Rhenum insedimus ut Italiam tueremur, sed ne quis alius Ariovistus regno Galliarum potiretur. an vos cariores Civili Batavisque et transrhenanis gentibus creditis quam maioribus eorum patres avique vestri fuerunt? eadem semper causa Germanis transcendendi in Gallias, libido atque avaritia et mutandae sedis amor, ut relictis paludibus et solitudinibus suis fecundissimum hoc solum vosque ipsos possiderent: ceterum libertas et speciosa nomina praetexuntur; nec quisquam alienum servitium et dominationem sibi concupivit ut non eadem ista vocabula usurparet.’ 
Chiamati a consiglio i Treviri e i Lingoni, Ceriale parla loro così: “Io non sono un oratore, e il valore del popolo romano l’ho sempre affermato con le armi; ma poiché per voi le parole sono tanto importanti, e le cose buone o cattive si valutano non per se stesse, ma dalle voci dei sediziosi, ho deciso di dirvi poche parole, in modo che – terminata la guerra- sarà stato più utile a voi averle ascoltate, che a noi averle dette. I Generali e gli Imperatori Romani sono venuti nelle vostre terre e in quelle degli altri galli, non per bramosia di conquista, ma perché glielo avevano chiesto i vostri padri. Che le discordie stavano angustiando fino alla rovina. I Germani, chiamati in aiuto, avevano sottomesso, allo stesso modo, nemici e alleati. E’ noto a tutti con quante battaglie contro i Cimbri e i Teutoni, e con quale esito conducemmo le guerre in Germania. Né per salvare l’Italia ci stanziammo sul Reno, ma perché un altro Ariovisto si impossessasse del dominio delle Gallie. O forse credete davvero che Civile e i Batavi e i popoli d’otre Reno vi amino più di quanto i loro avi abbiano amato i vostri padri e i vostri antenati? Per i Germani, passare nelle Gallie ha sempre lo stesso significato: avidità, avarizia, e voglia di cambiar sede e-lasciate le loro paludi e i loro deserti- prendere possesso del vostro terreno fertilissimo e di voi stessi. Eppure – pretestuosamente- parlano di libertà e di altre belle cose. Del resto, mai nessuno che mirasse all’altrui dominio e asservimento, ha usato parole diverse.

Treviri- Duomo

Treviri- Duomo

[74] ‘Regna bellaque per Gallias semper fuere donec in nostrum ius concederetis. nos, quamquam totiens lacessiti, iure victoriae id solum vobis addidimus, quo pacem tueremur; nam neque quies gentium sine armis neque arma sine stipendiis neque stipendia sine tributis haberi queunt: cetera in communi sita sunt. ipsi plerumque legionibus nostris praesidetis, ipsi has aliasque provincias regitis; nihil separatum clausumve. et laudatorum principum usus ex aequo quamvis procul agentibus: saevi proximis ingruunt. quo modo sterilitatem aut nimios imbris et cetera naturae mala, ita luxum vel avaritiam dominantium tolerate. vitia erunt, donec homines, sed neque haec continua et meliorum interventu pensantur: nisi forte Tutore et Classico regnantibus moderatius imperium speratis, aut minoribus quam nunc tributis parabuntur exercitus quibus Germani Britannique arceantur. nam pulsis, quod di prohibeant, Romanis quid aliud quam bella omnium inter se gentium existent? octingentorum annorum fortuna disciplinaque compages haec coaluit, quae convelli sine exitio convellentium non potest: sed vobis maximum discrimen, penes quos aurum et opes, praecipuae bellorum causae. proinde pacem et urbem, quam victi victoresque eodem iure obtinemus, amate colite: moneant vos utriusque fortunae documenta ne contumaciam cum pernicie quam obsequium cum securitate malitis.’ tali oratione graviora metuentis composuit erexitque.
Per tutte le Gallie sempre tirannidi e guerre ci furono, finché non avete accettato il nostro Diritto. Noi, anche se tante volte provocati, abbiamo esercitato il diritto della vittoria, solo per quel tanto che era necessario ad assicurare la pace. Infatti non c’è pace per i popoli disarmati, né si possono avere armi senza stipendi, né stipendi senza (pagamento dei) tributi. Di tutto il resto vi abbiamo fatti partecipi: voi stessi comandate nostre legioni, e voi stessi comandate queste ed altre province. Non c’è né preclusione, né privilegio. Quando l’Imperatore è degno di lode, ne deriva a voi e noi lo stesso vantaggio, anche se vivete lontani. Mentre i cattivi Imperatori colpiscono chi è vicino. Sopportate-dunque- il lusso e la rapacità dei dominatori, così come dovete sopportare la siccità, e le piogge eccessive, e tutti gli altri flagelli della natura. I vizi ci saranno finché ci saranno gli uomini. Ma i mali sono interrotti e vengono mitigati dai tempi migliori, a meno che voi non speriate in un governo più moderato, quando regneranno Tutore e Classico, e a meno che voi non crediate che essi- riducendo le tasse- possano preparare gli eserciti necessari a respingere i Germani e i Britanni. Infatti, una volta cacciati-Dio non lo permetta! – i Romani, che altro ci sarà, se non la guerra fra tutti i popoli? Ottocento anni di benessere e di ordine hanno cementato il nostro Stato (Roma), che non può essere distrutto, senza la distruzione dei distruttori. Ma il rischio maggiore è per voi, che avete oro e ricchezze, che sono la causa prima delle guerre. Amate-dunque- e onorate la pace e la città di cui tutti, vincitori e vinti, siamo cittadini con gli stressi diritti. VI sia di monito l’esperienza della buona e della cattiva sorte. Non scegliete la rivolta, con rischio della rovina, alla sicurezza attraverso la sottomissione.
Con tale discorso calmò e incoraggiò quelli che temevano un comportamento repressivo.

 

Treviri- Costanzo II Cesare 327-328 dC

Treviri- Costanzo II Cesare 327-328 dC

                                            

 

                                                        Fine Dodicesima Parte

 

 

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