Tacito é con noi (5)

Tacito è con noi (5)

Continuano gli articoli sulla Congiura dei Pisoni, anno 65 d.C. (Annales, XVI:49-51).  Per i precedenti, va’ al link (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/05/tacito-e-con-noi-4/9 da cui puoi risalire a ritroso a tutti gli articoli dedicati a Tacito.

Nerone

Nerone

 

[49] Initium coniurationi non a cupidine ipsius fuit; nec tamen facile memoraverim, qui primus auctor, cuius instinctu concitum sit quod tam multi sumpserunt. promptissimos Subrium Flavum tribunum praetoriae cohortis et Sulpicium Asprum centurionem extitisse constantia exitus docuit. et Lucanus Annaeus Plautiusque Lateranus [consul designatus] vivida odia intulere.
L’impulso alla congiura non venne dall’ambizione di lui (Pisone) né tuttavia mi è facile ricordare chi ne sia stato il primo ideatore, da quale impulso sia cominciata la vicenda a cui molti parteciparono. La fermezza di fronte alla morte insegnò che i più risoluti erano stati Subrio Flavo tribuno di una coorte pretoria, e il tribuno Sulpicio Aspro. Lucano Anneo e Plauzio Laterano vi portarono i propri odî fortissimi
 .

Giulia Livilla Figlia di Germanico

Giulia Livilla Figlia di Germanico

 

Lucanum propriae causae accendebant, quod famam carminum eius premebat Nero prohibueratque ostentare, vanu adsimulatione: Lateranum consulem designatum nulla iniuria, sed amor rei publicae sociavit. at Flavius Scaevinus et Afranius Quintianus, uterque senatorii ordinis, contra famam sui principium tanti facinoris capessivere: nam Scaevino dissoluta luxu menes et proinde vita somno languida; Quintianus mollitia corporis infamis et a Nerone probroso carmine diffamatus contumeliam ultum ibat. 
Cause specifiche accendevano Lucano, perché Nerone ostacolava la fama dei suoi carmi, e aveva vietato di farli conoscere, ferito dal confronto. Si unì (alla Congiura) il console designato Laterano, non per offese patite, ma per amore verso lo Stato. Flavio Scevino ed Afranio Quinziano, entrambi dell’Ordine Senatorio, capeggiarono un’impresa così grave, a dispetto della loro propria fama. Infatti, Sevino aveva l’animo indebolito dalle dissolutezze, e si trascinava nel torpore; Quinziano famigerato per mollezza di natura, cercava vendetta, perché Nerone l’aveva diffamato in un carme.

Messalina, moglie di Claudio

Messalina, moglie di Claudio

[50] Ergo dum scelera principis, et finem adesse imperio diligendumque, qui fessis rebus succurreret, inter se aut inter amicos iaciunt, adgregavere Claudium Senecionem, Cervarium Proculum, Vulcacium Araricum, Iulium Augurinum, Munatium Gratum, Antonium Natalem, Marcium Festum, equites Romanos. ex quibus Senecio, e praecipua familiaritate Neronis, speciem amicitiae etiam tum retinens eo pluribus periculis conflictabatur; Natalis particeps ad omne secretum Pisoni erat; ceteris spes ex novis rebus petebatur. adscitae sunt super Subrium et Sulpicium, de quibus rettuli, militares manus Gavius silvanus et Statius Proxumus tribuni cohortium praetoriarum, Maximus Scaurus et Venetus Paulus centuriones. sed summum robur in Faenio Rufo praefecto videbatur, quem vita famaque laudatum per saevitiam impudicitiamque Tigellinus in animo principis anteibat, fatigabatque criminationibus ac saepe in metum adduxerat quasi adulterum Agrippinae et desiderio eius ultioni intentum. igitur ubi coniuratis praefectum quoque praetorii in partes descendisse crebro ipsius sermone facta fides, promptius iam de tempore ac loco caedis agitabant. et cepisse impetum Subrius Flavus ferebatur in scaena canentem Neronem adgrediendi, aut cum [ardente domo] per noctem huc illuc cursaret incustoditus. hic occasio solitudinis, ibi ipsa frequentia tanti decoris testis pulcherrima animum exstimulaverunt, nisi impunitatis cupido retinuisset, magnis semper conatibus adversa.
Mentre discorrevano tra loro delle nequizie del Principe, alla fine prossima dell’Impero, e alla necessità di scegliere chi salvasse lo Stato in pericolo, aggregarono Claudio Senecione, Cervario Proculo, Vulcazio Ararico, Giulio Augurino, Munazio Grato, Antonio Natale, Marcio Festo, cavalieri romani. Tra loro, Senecione affrontava un rischio maggiore, per la precipua famigliarità con Nerone, verso cui simulava amicizia. Natale era partecipe di tutti i segreti di Pisone. Gli altri speravano in un rivolgimento delle cose. Sono informati, oltre a Subrio e Sulpicio, di cui ho riferito, altri militari: Gaio Silvano, tribuni delle coorti pretoriane; Massimo Scauro e Veneto Paulo, centurioni. Ma il punto di forza era il prefetto Fenio Rufo, lodato per la vita e la fama. Ma Tigellino era preferito nel cuore del Principe, a cagione della sua (di Tigellino) dissoluta spudoratezza. Rufo, continuamente accusato, aveva ceduto alla paura di essere denunciato come adultero di Agrippina, e desidero, per rimpianto, di vendicarla. Quando i congiurati furono certi, per i suoi ripetuti discorsi, che anche il prefetto del pretorio era dalla loro parte, si diedero a discutere più arditamente, sulla data e il luogo dell’uccisione. Si diceva anche che Subrio Flavio avesse progettato di assalire Nerone, mentre cantava in teatro, o di notte, mentre si aggirava senza scorta, durante l’incendio del Palazzo. Nel secondo caso, l’occasione era offerta dalla solitudine, nel primo, la stessa moltitudine, magnifica testimone del nobile gesto, avevano acceso il suo animo. Ma l’aveva tratteunto il timore per la propria incolumità, che è sempre avversa alle grandi imprese.

Busto di Tacito

Busto di Tacito

[51] Interim cunctantibus prolatantibusque spem ac metum Epicharis quaedam, incertum quonam modo sciscitata (neque illi ante ulla rerum honestarum cura fuerat), accendere et arguere coniuratos; ac postremum lentitudinis eorum pertaesa et in Campania agens primores classiariorum Misenensium labefacere et conscientia inligare conisa est tali initio. erat [na]uarchus in ea classe Volusius Proculus, occidendae matris Neroni inter ministros, non ex magnitudine sceleris provectus, ut rebatur. is mulieri olim cognitus, seu recens orta amicitia, dum merita erga Neronem sua et quam in inritum cecidissent aperit adicitque questus et destinationem vindictae, si facultas oreretur, spem dedit posse impelli et plures conciliare: nec leve auxilium in classe, crebras occasiones, quia Nero multo apud Puteolos et Misenum maris usu laetabatur. ergo Epicharis plura; et omnia scelera principis orditur, neque sancti quid[quam] manere. sed provisum, quonam modo poenas eversae rei publicae daret: accingeretur modo navare operam et militum acerrimos ducere in partes, ac digna pretia exspectaret. nomina tamen coniuratorum reticuit. unde Proculi indicium inritum fuit, quamvis ea, quae audierat, ad Neronem detulisset. accita quippe Epicharis et cum indice composita nullis testibus innisum facile confutavit. sed ipsa in custodia retenta est, suspectante Nerone haud falsa esse etiam quae vera non probabantur
Mentre essi tergiversavano, prolungando sperazna e timore, una certa Epicari, informata non si sa come (ché prima di allora non si era mai occupata di cose oneste) accendeva e rimproverava i congiurati. Alla fine, esasperata dalla loro lentezza, trovandosi in Campania, si diede a sobillare i comandanti della flotta di Miseno e ad obbligarli con l’obbligo della complicità. Le cose cominciarono così: comandava una nave di quella flotta Volusio Proculo, uno degli incaricati dell’uccisione della madre di Nerone, dal quale pensava di non essere stato gratificato in maniera congrua a quanto aveva compiuto. Sia che la donna lo conoscesse già, o che l’amicizia fosse nata di recente, è certo che-rivelandole le proprie benemerenze verso Nerone, e come esse fossero state disattese, e avendo aggiunto lagnanze e propositi di vendetta- se mai se ne presentasse l’occasione- le diede la speranza che potesse entrare nella congiura, e che inducesse altri a farvi entrare molti altri. Né di lieve aiuto poteva essere la flotta, che poteva offrire frequenti occasioni, in quanto Nerone faceva spesso gite verso Pozzuoli e il Miseno. Perciò Epicari aggiunse, elencando tutte le azioni scellerate dell’Imperatore, e il totale annullamento dell’autorità del Senato. Aggiunse che si era pensato a come fargli pagare di aver rovinato lo Stato. Che dunque si decidesse solo a dare l’appoggio e ad attirare i soldati più decisi: avrebbe avuto il compenso adeguato. Ma tenne per sé il nome dei congiurati. Perciò, la delazione di Proculo riuscì vana, pur avendo egli riferito a Nerone tutto quello che aveva udito. Epicari, fu convocata e messa a confronto con il denunziante, lo mise a tacere, non avendo egli citato alcun testimone. Tuttavia, lei fu trattenuta in carcere, sospettante Nerone che non fossero false le cose che non venivano dimostrate vere.

 Ostia Antica

Ostia Antica

                                

 

                                                                              Fine Quinta Parte
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