Cesare suggeritore di Catilina? (IV)
(Quarta Parte)
Cesare suggeritore di Catilina?: Catilina fu strumento di Cesare, nella lotta contro il Partito Aristocratico e contro l’Oligarchia Senatoria? Cerchiamo di rispondere a questa domanda.
8 novembre 63 a.C.: il Senato è in seduta, nella Vecchia Curia (oggi ai Fori Imperiali) per udire le comunicazioni del Console -unico, e con pieni poteri, Marco Tullio Cicerone- su un complotto contro lo Stato (“Catilinae Conjuratione”). Lo schieramento in Sono con il Console Cicerone: il Partito Aristocratico (ex Silliano) e tutto il Centro. Contro il Console, sono Gaio Giulio Cesare, Marco Licinio Crasso e pochi altri, che non osano venire alo scoperto. Del resto, anche Cesare e Crasso sono guardinghi, perché la Congiura è stata scoperta in modo umiliante per i Congiurati: delle spie infiltrate tra i seguaci di Catilina hanno confidato tutto a delle meretrici, prezzolate all’uopo di carpire i segreti del complotto, che così è fallito prima di cominciare. Cicerone ignora – o finge di ignorare- la posizione di Cesare, e di Crasso, e chiede l’esecuzione sommaria dei congiurati, la notte stessa, nel Carcere Mamertino, mediante strangolamento. Cesare, secondo quanto viene riportato da Gaio Sallustio Crispo, probabilmente presente, pronuncia un memorabile Discorso contro l’esecuzione sommaria. Il Discorso, ricco di dotte citazioni storico-filosofiche, è uno strumento con cui Cesare cerca di scongiurare una “Luogotenenza di Cicerone” a nome di Gneo Pompeo Magno, che all’epoca (63 a.C..) trovasi in Asia, dove sta concludendo una serie di strepitose campagne militari contro Mitridate, i Parti, gli Armeni.
Negli Articoli precedenti (http://www.ilgrandeinquisitore.it/2018/02/cesare-suggeritore-di-catilina-iii/) abbiamo riportato la prima parte del discorso di Cesare e gli aspetti generali della vicenda. Qui riportiamo la seconda parte del Discorso di Cesare, con la nostra traduzione da Sallustio.
(Item bellis Punicis omnibus, cum saepe Carthaginienses et in pace et per indutias multa nefaria facinora fecissent, numquam ipsi per occasionem talia fecere: magis, quid se dignum foret, quam quid in illos iure fieri posset, quaerebant. Hoc item vobis providendum est, patres conscripti, ne plus apud vos valeat P.Lentuli et ceterorum scelus quam vostra dignitas neu magis irae vostrae quam famae consulatis. Nam si digna poena pro factis eorum reperitur, novum consilium adprobo; sin magnitudo sceleris omnium ingenia exsuperat, his utendum censeo, quae legibus conparata sunt.
(Allo stesso modo, per tutte le Guerre Puniche, anche se i Cartaginesi durante i periodi di pace, e durante le tregue, compivano molte azioni nefande, gli stessi -nostri antenati-approfittarono per fare rappresaglie: essi volevano agire in modo degno, e non volevano infierire contro i Cartaginesi, anche avendone diritto. Ugualmente presso di voi, o Senatori, sulla vostra decenza, non prevalga di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri; né prevalga la vostra ira sul vostro prestigio. Infatti, se si può trovare una pena adeguata al male da loro compiuto, io approvo una nuova decisione. Ma se l’enormità del misfatto supera ogni immaginazione, ritengo che si debbano applicare le pene stabilite dalla Legge)
Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt, conposite atque magnifice casum rei publicae miserati sunt. Quae belli saevitia esset, quae victis acciderent, enumeravere: rapi virgines, pueros, divelli liberos a parentum complexu, matres familiarum pati, quae victoribus conlubuissent, fana atque domos spoliari, caedem , incendia fieri, postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omia conpleri. Sed per deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos infestos coniurationi faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non permovit, eum oratio accendet. Non ita est neque cuiquam mortalium iniuriae suae parvae videntur; multi eas gravius aequo habuere. Sed alia aliis licentia est, patres conscripti.
(La maggior parte di quelli che hanno parlato prima di me, con linguaggio complesso e brillante hanno commiserato le sventure dello Stato. Hanno elencato la crudeltà della guerra, le sciagure occorse ai vinti; vergini e fanciulli rapiti; figli rapiti ai genitori; madri di famiglia costrette a subire violenza dai vincitori; case e templi spogliati; stragi; incendi; e infine, dappertutto, sangue, cadaveri e lutto. Ma- per gli Dei immortali! – cosa c’entra con il discorso in Senato? Tendeva a farvi detestare la congiura? Certo, se c’è qualcuno che non è sconvolto di fronte a un fatto così abnorme e temerario, saranno i discorsi a provocare il suo sdegno? Non c’è persona al mondo che sottovaluti il male che subisce; anzi, molti ne soffrono più del dovuto. Ma-o Pardi Coscritti- non tutti hanno la medesima libertà d’azione).
Qui demissi in obscuro vitam habent, si quid iracundia deliquere, pauci sciunt: fama atque fortuna eorum pares sunt; qui magno imperio,praediti in excelso aetatem agunt, eorum facta cuncti mortales novere. Ita in maxuma fortuna minuma licentia est; neque studere neque odisse, sed minume irasci decet; quae apud alios iracundia dicitur, ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur. Equidem ego sic existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam facinora illorum esse. Sed plerique mortales postremo meminere et in hominibus inpiis sceleris eorum obliti de poena disserunt, si ea paulo severior fuit.
(Quelli che dimessi, vivono in una condizione oscura, se si lasciano vincere dall’ira, pochi se ne accorgono: fama e fortuna vanno di pari passo. Ma di quelli che gestiscono un vasto impero e vivono ai vertici del potere, tutti i mortali sanno le azioni. Perciò, più grande è la fortuna, minore la facoltà di fare ciò che si vuole: non è permesso né amare, né odiare, e meno che mai adirarsi. Perché quella che negli altri chiamano collera, in loro viene chiamata superbia e crudeltà. Io sono convinto, o Senatori, che qualsiasi supplizio sarebbe inadeguato ai loro crimini. Ma gli uomini in genere hanno memoria solo delle cose recenti e, quando si tratta di scellerati, dimenticano presto il loro delitto, ma discorrono della pena, se è stata troppo severa)
Item bellis Punicis omnibus, cum saepe Carthaginienses et in pace et per indutias multa nefaria facinora fecissent, numquam ipsi per occasionem talia fecere: magis, quid se dignum foret, quam quid in illos iure fieri posset, quaerebant. Hoc item vobis providendum est, patres conscripti, ne plus apud vos valeat P.Lentuli et ceterorum scelus quam vostra dignitas neu magis irae vostrae quam famae consulatis. Nam si digna poena pro factis eorum reperitur, novum consilium adprobo; sin magnitudo sceleris omnium ingenia exsuperat, his utendum censeo, quae legibus conparata sunt.
(Allo stesso modo, per tutte le Guerre Puniche, anche se i Cartaginesi durante i periodi di pace, e durante le tregue, compivano molte azioni nefande, gli stessi -nostri antenati-approfittarono per fare rappresaglie: essi volevano agire in modo degno, e non volevano infierire contro i Cartaginesi, anche avendone diritto. Ugualmente presso di voi, o Senatori, sulla vostra decenza, non prevalga di più la scelleratezza di Publio Lentulo e degli altri; né prevalga la vostra ira sul vostro prestigio. Infatti, se si può trovare una pena adeguata al male da loro compiuto, io approvo una nuova decisione. Ma se l’enormità del misfatto supera ogni immaginazione, ritengo che si debbano applicare le pene stabilite dalla Legge)
Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt, conposite atque magnifice casum rei publicae miserati sunt. Quae belli saevitia esset, quae victis acciderent, enumeravere: rapi virgines, pueros, divelli liberos a parentum complexu, matres familiarum pati, quae victoribus conlubuissent, fana atque domos spoliari, caedem , incendia fieri, postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omia conpleri. Sed per deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos infestos coniurationi faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non permovit, eum oratio accendet. Non ita est neque cuiquam mortalium iniuriae suae parvae videntur; multi eas gravius aequo habuere. Sed alia aliis licentia est, patres conscripti.
(La maggior parte di quelli che hanno parlato prima di me, con linguaggio complesso e brillante hanno commiserato le sventure dello Stato. Hanno elencato la crudeltà della guerra, le sciagure occorse ai vinti; vergini e fanciulli rapiti; figli rapiti ai genitori; madri di famiglia costrette a subire violenza dai vincitori; case e templi spogliati; stragi; incendi; e infine, dappertutto, sangue, cadaveri e lutto. Ma- per gli Dei immortali! – cosa c’entra con il discorso in Senato? Tendeva a farvi detestare la congiura? Certo, se c’è qualcuno che non è sconvolto di fronte a un fatto così abnorme e temerario, saranno i discorsi a provocare il suo sdegno? Non c’è persona al mondo che sottovaluti il male che subisce; anzi, molti ne soffrono più del dovuto. Ma-o Pardi Coscritti- non tutti hanno la medesima libertà d’azione)
Qui demissi in obscuro vitam habent, si quid iracundia deliquere, pauci sciunt: fama atque fortuna eorum pares sunt; qui magno imperio,praediti in excelso aetatem agunt, eorum facta cuncti mortales novere. Ita in maxuma fortuna minuma licentia est; neque studere neque odisse, sed minume irasci decet; quae apud alios iracundia dicitur, ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur. Equidem ego sic existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam facinora illorum esse. Sed plerique mortales postremo meminere et in hominibus inpiis sceleris eorum obliti de poena disserunt, si ea paulo severior fuit.
(Quelli che dimessi, vivono in una condizione oscura, se si lasciano vincere dall’ira, pochi se ne accorgono: fama e fortuna vanno di pari passo. Ma di quelli che gestiscono un vasto impero e vivono ai vertici del potere, tutti i mortali sanno le azioni. Perciò, più grande è la fortuna, minore la facoltà di fare ciò che si vuole: non è permesso né amare, né odiare, e meno che mai adirarsi. Perché quella che negli altri chiamano collera, in loro viene chiamata superbia e crudeltà. Io sono convinto, o Senatori, che qualsiasi supplizio sarebbe inadeguato ai loro crimini. Ma gli uomini in genere hanno memoria solo delle cose recenti e, quando si tratta di scellerati, dimenticano presto il loro delitto, ma discorrono della pena, se è stata troppo severa). Fine Quarta Parte – Continua