Edward Hopper, il pittore della luce, dell’attesa e del silenzio.
A Edward Hopper (1881-1967), questo Blog aveva dedicato finora tre articoli, per consultare i quali, clicca qui.
Il presente articolo prende spunto dalla bella Mostra che è in corso in Bologna, dedicata al pittore americano.
Per una biografia di Hopper, clicca qui: Edward Hopper (Treccani ):
“Forse non sono troppo umano, ma il mio scopo stato semplicemente quello di dipingere la luce del sole sulla parete di una casa.” Edward Hopper –
“Che ora è? gli chiesero i curiosi/E lui rispose: E’ l’Eternità”. Osip Ėmil’evič Mandel’štam (in russo: Осип Эмильевич Мандельштам ; 1891 –1938).
Questi versi di Mandelstam sembrano scritti per illustrare il senso del tempo, nella pittura di Hopper.
Luce, silenzio, attesa: sono i caratteri essenziali della pittura di Hopper che, perciò, possiamo definire il Vermeer del XX secolo.
“…Hopper ha trasformato New York in una Tebaide di eremiti, in una città deserta, immersa in una luce geometrica …Hopper ha dipinto la solitudine dei luoghi solitari e, più ancora dei luoghi che dovrebbero essere affollati. Ha dipinto le strade di Manhattan con i negozi chiusi e le tende delle case abbassate; rotaie su cui non scorre alcun treno, e pompe di benzina, senza una macchina intorno…Si susseguono nei suoi quadri, locali senza avventori e teatri senza pubblico . E, ancora, interno di albergo vuoti, dove una donna siede su un letto, sola; stanze con viaggiatori malinconici, che si attardano nella partenza; bistrot in cui gli ultimi nottambuli consumano l’ultima bevanda amara…La pittura di Hopper è piuttosto il tentativo di rappresentare i fondamenti della natura e dell’uomo….che vuole cogliere l’essenza, l’immutabile, ciò che non può non essere …”(Elena Pontiggia,)
“ …Più che la mancanza di compagnia, certe figure di Hopper soffrono…per la mancanza di di un senso da dare alla realtà. Gli alberghi, i binari ferroviari…sono simboli di straniamento e di esilio. Non è un caso che le immagini più solari, più felici, siano quelle in cui l’uomo non compare, e in cui la luce crea un ordine maestoso, nella tavola pitagorica della natura….” , ibi, pag. 109
“…Dalla metà degli anni 20, peraltro, e a partire da un’opera <metafisica> come il >Faro sulla collina > (1927), lo stile dell’artista americano non ha più storia. Ssarebbe inutile…tentarne una periodizzazione, se non forse per le opere tarde, successive al 1949, contraddistinte da una struttura geometrica sempre più nuda e manifesta. Il sole che irrompe il mattino dalle finestre aperte, penetra nelle stanze solitarie, illumina il secondo piano di una casa, i tavolini di un caffè, è il protagonista degli ultimi lavori dell’artista. La sua presenza ineludibile…esprime…la ricerca di una dimensione trascendente. Proprio negli anni in cui pensa di più alla morte…dipinge <Sole in un caffè> (1958), <Secondo piano al sole> (1960), <Gente al sole> (1960), <Una donna al sole> (1961), <Sole in una stanza vuota> (1963)…” (ibi, pag114).
John Updike : “ (i quadri di Hopper sono)… calmi, silenti, stoici, classici” (New York Review of Books, 42, 10 agosto 1992) .
Nightwaks (Nottambuli) :” …Il locale dalla forma oblunga è allungato all’estremo e accompagna l’occhio dello spettatore attraverso il quadro, come la panoramica in una macchina da presa. Gli avventori seduti al banco sono chini sulle tazze di caffè, il barista è piegato in avanti, in modo da non spezzare la traiettoria dell’edificio. Il terzo avventore, di spalle, è quello che viene ritratto con maggiore accuratezza. I colori sono freddi, perché la luce viene dal neon dell’interno del bar, e dalle luci esterne, quelle della strada. La scena non vuole essere realistica, perché – del bar – non si vede l’entrata: c’è solo la vetrata, come una quinta teatrale! . E anche perché non si capisce donde vengano – all’esterno – le ombre sul marciapiedi. La scena è densa di mistero: tutto sembra in attesa di qualcosa, e né i quattro personaggi del quadro, né noi, sappiamo cosa sia questo <qualcosa>.
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