“ Il Maestro e Margherita”
Capitolo 26°
Seconda Parte
Вторая часть
Continuiamo con il testo, tradotto dal Russo, del 26° capitolo del romanzo di Michail Bulgakov, dal titolo “ La Sepoltura”. Le tre parti sono consultabili e sono: – l’Introduzione , in Italiano, e in Russo, e la Prima parte del testo.
La donna, che Afranio aveva chiamato Nisa, rimasta sola, cominciò a cambiarsi, affrettandosi molto, ma a stento riusciva a trovare le proprie cose nel buio della camera, finché non accese la lampada e chiamò la domestica. Subito dopo, appena fu pronta e con un velo scuro sulla testa, nella casetta a fianco si udì la sua voce:
“ Se qualcuno chiede di me, dì che sono andata a trovare Enanta”.
Nel buio, seguì un brontolio della vecchia domestica:
“ Da Enanta? Quella Enanta? Ma tuo marito ti ha proprio vietato di andare da lei! La tua Enanta è una ruffiana! Lo dirò a tuo marito…!”.
“ No, no, taci! – rispose Nisa e come un’ombra si allontanò dalla domestica.
I sandali di Nisa risuonarono sulle lastre di pietra del cortiletto. La domestica, brontolando, aprì la porta sulla terrazza. Nisa lasciò la propria casa. Nello stesso tempo, da un’altra via nella Città Bassa, in un vicolo tortuoso, da gradini che scendevano verso uno degli stagni della città, attraverso il cancello di una casa miserabile, cieca dalla stessa parte rivolta verso il vicolo, con le finestre sul cortile, uscì un giovane, con una barbetta accuratamente tagliata, con una kefia bianca, di un bianco pulito, che scendeva sulla spalla, con una tallife nuova, azzurra, con piccole nappe in basse, e con sandali nuovi e scricchiolanti. Il bell’uomo, con il naso adunco, messosi in ghingheri per la grande festa, camminava con passo gagliardo, superando quelli che lo precedevano. Affrettandosi verso casa per la cena della festa, osservò che una sola finestra, fra le altre, era illuminata. Il giovane uomo prese la via principale, oltre il bazar, in direzione del Palazzo del Sommo Sacerdote – Caifa – ben collocato ai piedi del Grande Tempio.
Dopo un po’ di tempo, lo si vide arrivare all’ingresso del Palazzo di Caifa e, dopo un po’, lasciarlo. Dopo la visita nel Palazzo, nel quale ardevano lampade e fiaccole, e in cui era arrivata la frenesia per la festa, il giovane uomo si mosse ancora più alacremente, e con ancora più gioia tornò verso la Città Bassa. Proprio all’ angolo, dove la strada penetrava nella piazza del bazar, una donna con passo frenetico lo superò, come se camminasse con passo saltellante: una donna leggera, con un velo nero abbassato sugli occhi. Superando il giovane, quella donna in un baleno rovesciò il velo alto all’indietro, lanciò un’occhiata dalla parte del giovane uomo, ma non soltanto non rallentò il passo, ma lo superò, come se tentasse di sfuggire all’uomo che aveva incontrato. Il bell’uomo non solo notò quella donna, ma la riconobbe e, riconoscendola, trasalì; si fermò, fissando imbarazzato la sua schiena e freneticamente si mise a correre per raggiungerla. I giovane uomo urtò i contro i piedi di un passante con una brocca tra le mani e quasi lo faceva cadere, raggiunse la donna e, respirando affannosamente per l’agitazione, le gridò:
“ Nisa!”.
La donna si voltò, socchiuse gli occhi, mentre nei suoi occhi compariva una rabbia fredda, e rispose in Greco:
“ Ah, sei tu, Giuda? Non ti avevo riconosciuto subito. Comunque, va bene, abbiamo una caratteristica di cui non siamo consapevoli : chi non è riconosciuto, diventerà ricco!”. Preoccupato che il suo cuore stesse per scoppiargli in petto, come un uccello sotto un telo nero, Giuda chiese, bisbigliando e con voce rotta, per il timore che i passanti sentissero:
“ Dove te ne vai, Nisa? “
“ E perché vuoi saperlo?” – rispose Nisa, rallentando il passo, e guardando altezzosamente Giuda. Allora, nella voce di Giuda sembrò comparire un’intonazione infantile, ed egli cominciò a bisbigliare con aria smarrita:
“ Ma come? Ci eravamo poi messi d’accordo. Io avevo voglia di venire da te. Avevi detto che tutta la sera saresti stata in casa…”.
“ Ah, no, no! “ – rispose Nisa, e capricciosamente sporse il labbro inferiore in avanti, per cui a Giuda sembrò che il suo viso, un viso bellissimo, quale in vita sua non aveva mai visto, diventasse ancora più bello –
“Mi stavo annoiando. Voi avete la Festa, e tu cosa mi vuoi ordinare? Starmene seduta, e ascoltarti mentre tu in terrazza sospiri, e temere che la domestica lo riferisca a mio marito? No, no, perciò ho deciso di uscire dalla Città per ascoltare gli usignoli”.
“ Come, uscire dalla Città? “ – chiese Giuda, confuso –
“ Da sola!”
“ Proprio così, da sola” – rispose Nisa.
“ Permettimi di accompagnarti” – respirando con affanno, chiese Giuda. La sua mente si era annebbiata, si era dimenticato tutto su questa terra, e guardò con i propri supplicanti occhi giovani negli occhi azzurri, ma che sembravano neri, di Nisa, la quale non rispose niente, anzi accelerò l’andatura:
“ Cosa mi stai tacendo, Nisa? “ – chiese Giuda lamentosamente, e si allineò al passo di lei. “ Ma non mi annoierò io con te? “ – all’improvviso chiese Nisa, e si fermò. Allora, i pensieri di Giuda andarono del tutto in confusione.
“ No, bene “ – infine Nisa si ammorbidì –
“ Andiamo!”
“ Ma dove, dove?”
“ Aspetta, andiamo in quel cortiletto, e mettiamoci d’accordo: ho paura che qualche conoscente mi veda e che riferisca a mio marito che ero per strada con un amante”.
E allora, Nisa e Giuda non rimasero nel bazar. Andarono a confabulare nel portone di un palazzo.
“ Va’ in quel podere con gli ulivi” – sussurrò Nisa, fissandosi il velo sugli occhi, e girandosi per non essere vista da un uomo con un secchio,che stava entrando nel portone – “ nel Getsemani, fuori dal Cedron. Hai capito?”
“ Sì, sì, sì!”. “ Io andrò avanti” – proseguì Nisa –
“ Ma tu non seguirmi da vicino, staccati da me. Io andrò prima…Quando attraverserai il torrente… sai dov’è la grotta? “.
“ Lo so, lo so”.
“ Passa oltre il torchio delle olive, in alto, e affrettati verso la grotta. Io sarò lì. Ma adesso non limitari a staccarti da me. Abbi pazienza! Aspetta qui”.
E con queste parole, Nisa uscì dal portone, come se non avesse parlato con Giuda. Giuda stette fermo, da solo, per qualche tempo, cercando di raccogliere i propri pensieri, che erano in confusione. Tra di essi, c’era il pensiero su come spiegare la propria assenza al pranzo festivo dei familiari. Giuda stette fermo ed escogitò una menzogna, ma non considerò o preparò niente di ciò avrebbe dovuto, e i suoi stessi piedi lo condussero, contro la sua stessa volontà, fuori da lì, cioè dal portone. Allora egli cambiò il proprio tragitto, non cercò più di raggiungere la Città Bassa, ma tornò indietro verso il Palazzo di Caifa. La festa in Città era già cominciata. Intorno a Giuda, nelle finestre, non solo risplendevano le luci, si cantavano le lodi, poi si sentivano le voci. Gli ultimi ritardatari spingevano gli asinelli, li spronavano, li sgridavano. I piedi stessi trascinavano Giuda, egli neanche si accorse che le terribili torri muscose della Fortezza Antonina erano state superate. Egli non sentì il suono della tromba nella Fortezza, né prestò alcuna attenzione alla pattuglia di cavalli romani che, con una fiaccola, aveva illuminato la sua strada con una luce per lui minacciosa. Oltrepassando la Torre, Giuda, giratosi, vide che a un’altezza spaventosa, sul Tempio erano accesi due giganteschi candelabri. Ma anche questi, Giuda riuscì a vederli confusamente: gli sembrò che a Gerusalemme si fossero accese dieci lampade, di grandezza mai vista. Senza dubbio, una luce ineguagliabile risplendeva su Gerusalemme, più della luce della Luna. In quel momento, la cosa non interessava a Giuda: egli stava cercando di arrivare alla porta del Getsemani, e voleva sbrigarsi a lasciare la Città. Nel frattempo, gli sembrò che davanti a lui, in mezzo alle schiene e ai volti dei passanti, balenasse una figurina saltellante, e lo conducesse dietro di sé. Ma quello non era un miraggio: Giuda comprese che Nisa lo precedeva di molto. Continua