“Lo scarafone, lo sorece e lo grillo” (“Lo scarafaggio, il topo e il grillo”) è il quinto racconto della terza giornata de “Lo Cunto de li Cunti” (“Il racconto dei racconti”), capolavoro di Giambattista Basile , nato a Napoli, il 1575 (1566?) ; morto a Giugliano (NA) il 23 febbraio 1632.
Miccone è un ricco massaro del Vomero (Napoli) e ha un figlio, Nardiello, che il racconto così presenta :”….il più sciagurato pecorone…se andava alla taverna ad ingozzarsi con i compagni, i malandrini lo imbrogliavano…se praticava con male femmine prendeva la carne peggiore e la pagava più del dovuto…se giocava nelle bische, lo lavoravano come una pizza, lo mettevano in mezzo…”.
Miccone dà al figlio 100 ducati, perché vada alla fiera di Salerno a comprarvi dei giovenchi per la campagna. Nardiello incontra una Fata con uno scarafaggio (scarafone) che suona una chitarriglia, insomma uno scarafaggio suonatore. Il giovane è conquistato da questo strano sortilegio e, a richiesta, paga tutti i suoi 100 ducati, e si porta a casa lo scarafaggio fatato. Il padre è furioso per la transazione bislacca del figlio, e gli dà altri 100 ducati, perché si decida a comprare i maledetti giovenchi.
Qui c’è l’incontro con una seconda Fata, presso la Torre di Sarno. La Fata ha ammaestrato un topo (sorece) che balla! Nardiello ripete la transazione già fatta in precedenza e, oltre allo scarafaggio, acquista il topo ballerino.
Tornato a casa, Miccone ripete la sfuriata e gli dà altri 100 ducati, per la terza e ultima volta. Nardiello incontra una terza Fata, che ha addomesticato un grillo canterino. Si ripete la scena delle due volte precedenti. Il giovane ha quindi con sé uno scarafaggio, un topo e un grillo. Il padre lo caccia di casa per sempre, e Nardiello se ne va in Lombardia presso un re, Cenzone ( che si potrebbe traslitterare in Vincenzone) che ha una figlia triste, Milla, perchè non ride mai. Il re ha perciò promesso di darla in moglie al primo che la farà ridere. Nardiello ci riesce, ovviamente, con la propria bislacca compagnia di animali artisti, e il matrimonio viene celebrato, ma risulterà valido se verrà consumato entro massimo tre notti.
Il truffatore Cenzone somministra per tre sere a Nardiello un sonnifero, che gli impedisce di adempiere ai propri doveri coniugali. Il matrimonio viene annullato, Milla viene data in sposa a un gran signore tedesco, e Nardiello viene gettato nella fossa …dei leoni. Da qui, egli riesce ad evadere grazie all’aiuto dei suoi tre simpatici e talentuosi amici.
Qui entra in gioco la creatività mediterranea contro i tranelli di Cenzone. Il nuovo matrimonio, che deve essere consumato entro le tre notti di contratto, viene sabotato dallo scarafaggio che, la prima notte, si fa supposta per il malcapitato signore tedesco, e gli provoca una nauseabondissima dissenteria, che gli impedisce ovviamente di consumare.
La seconda notte, dopo che il marito si è opportunamente vestito e imbottito, il topo rosica i panni, e fa entrare lo scarafaggio, che ripete l’operazione <supposta> con lo stesso disastroso esito dissenterico.
Per la terza e ultima notte del cimento, il marito si è addirittura tappato con un tappo di legno, e resta sveglio, a scanso di sorprese. Qui il grillo canta, e fa addormentare il marito in prova; il topo gli strofina, con la coda, sul naso della senape. Il malcapitato starnutisce così violentemente, da stapparsi. Lo scarafaggio ripete la missione stercoraria, e la dissenteria nauseabonda si presenta per la terza e ultima volta a sancire l’annullamento del matrimonio.
Nardiello viene riabilitato e riammesso come marito legittimo di Milla. E tutti vissero felici e contenti.
Qui di seguito, riportiamo la parte terminale della lunga battaglia d’amore di Nardiello per la riconquista di Milla. Siamo alla terza notte, quando scatta la trappola tripla dei tre animaletti: il grillo canta e fa addormentare il marito tedesco; il topo lo fa starnutire, spalmandogli sul naso della senape; e lo scarafaggio lo risupposta per l’ultima volta.
Testo originale in lingua napoletana* :
“….Lo scarafone, che non vedette maie dormire lo zito, disse a li compagne: «Ohimè, chesta è la vota che restammo chiarite e l’arte nostra non’nce serve pe niente, pocca lo zito non dorme e non me da luoco a secuteiare la ‘mpresa!». «Aspetta», disse lo grillo, «ca mo te servo!», e, commenzanno a cantare docemente, facette addormentare lo zito. La quale cosa visto lo scarafone corze a farele de se stisso serenga, ma, trovata chiusa la porta e ‘mpeduta la strata, tornaie desperato e confuso a li compagne, decenno chello che l’era socciesso. Lo sorece, che non aveva autro fine che servire e contentare Nardiello, a chella medesema pedata iette a la despenza ed adoranno da fesina a fesina ‘mmattette un arvaro de mostarda de senapa, dove ‘mroscinatose con la coda corze a lo lietto de lo zito e ne sodonse tutte le forgie de lo naso de lo nigro todisco, lo quale commenzaie a sternutare accossì forte che sbottaie lo tappo co tanta furia che, trovannose votato de spalle a la zita, le schiaffaie ‘m pietto accossì furiuso che l’appe ad accidere.
A le strille de la quale corze lo re e demannanno che cosa aveva, disse che l’era stato sparato no pedardo ‘m pietto. Se maravigliaie lo re de sto spreposeto, che co no pedardo ‘m pietto potesse parlare, ed, auzato le coperte e le lenzole, trovaie la mena de vrenna e lo tappo de lo masco, c’aveva fatto na bona molegnana a la zita, si be’ non saccio che le facesse chiù danno o lo fieto de la porvere o la botta de la palla….”.
Traduzione in italiano moderno *:
Lo scarafaggio, vedendo che lo sposo non si addormentava, disse ai suoi compagni:
– Ohimè! questa è la volta che ci dobbiamo arrendere e la nostra arte non servirà a nulla, perché il tedesco non dorme e non vedo proprio come possiamo portare a termine l’operazione!
– Aspetta – disse il grillo – che ora ti servo io! – e cantando dolcemente lo fece addormentare.
Visto questo, lo scarafaggio corse per trasformarsi in supposta, ma avendo trovato la porta serrata e la strada bloccata tornò confuso e disperato dai compagni, ai quali raccontò cosa gli era successo. Allora il topo, che non aveva altro scopo che servire Nardiello perché fosse felice, partì verso la dispensa, dove, annusando i barattoli uno dopo l’altro, ne trovò uno di mostarda piccante, vi intinse la coda, poi corse nel letto dallo sposo e gliela strofinò più volte sotto al naso, finché il povero tedesco fece uno starnuto fragoroso e sparò il tappo e, siccome dava le spalle alla sposa, la colpì in petto con tanta forza che per poco non l’ammazzava.
Alle urla di Milla accorse il re, e quando le chiese cos’era successo lei rispose che le avevano sparato un petardo in petto. Il padre si meravigliò di questo sproposito, perché non capiva come potesse parlare con un petardo in petto, e alzate le coperte e le lenzuola scoprì che insieme a una poltiglia maleodorante era partito un tappo di legno, che aveva fatto un bel livido alla sposa, ma non si sa se le faceva più male il puzzo della poltiglia o la botta del tappo.
* Per la citazione , va’ al link seguente, dove trovi il testo in Napoletano, e la traduzione in Italiano moderno: http://www.alaaddin.it/_TESORO_FIABE/FD_Campania_Lo_scarafone_lo_sorece_e_lo_grillo.html.
+ Per l’integrale del “Pentamerone”, va’ al link: “ Lo cunto de li cunti “ di G.B. Basile. Vai al link: http://www.letteraturaitaliana.net./index.html
+ Per notizie biografiche su Giambattista Basile, va’ ai due link seguenti: – http://www.treccani.it/enciclopedia/giambattista-basile_(Dizionario-Biografico)/; e – http://www.treccani.it/enciclopedia/giambattista-basile_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/.
Che cos’è “Lo Cunto de li Cunti” (d’ora in poi abbreviato come “Cunto”)?
E’ il racconto dei racconti ,destinati alla conversazione nelle piccole corti napoletane dell’epoca, spesso nel momento rituale del dopopranzo. Si trattava della lettura di testi narrativi, recitazione di microazioni teatrali; facezie, musiche, balli, giochi, canzoni e altri tipi di racconti. Per come viene narrato, il “Cunto” sembra quasi un grande copione teatrale. Infatti, molti temi qui trattati hanno trovato posto in successive opere di narrativa e di teatro. A mo’ d’esempio, citiamo tutta l’epopea di Cenerentola, che deriva appunto dal “ Cunto”. L’opera fu composta fra il II e IV decennio del XVII secolo. Come nel “ Cunto” si trascriveva un’epica della materia popolare, quasi 20 anni prima, nel “Don Quijote” era stata trascritta l’epica farsesca del mondo cavalleresco.
Qual è la morale di questa favola?
Nardiello è vagabondo, debosciato, e sciocco, e dovrebbe essere destinato al destino peggiore. Ma c’è qualcosa che lo salva, ed è il suo senso poetico, perché investe tutto il proprio capitale nell’acquisto di uno scarafaggio suonatore, e quindi di un topo ballerino, e infine di un grillo cantante, tutti e tre fatati.
I tre simpatici animaletti aiuteranno il giovane nei momenti bui della sua vita. Ecco dunque il primo esito della fantasia popolare: chiunque non sia ricco e manigoldo e grassatore, sarebbe destinato a soccombere. Nello stesso destino sono accomunati gli sciocchi, i poveri, gli onesti e i poeti.Ma la sorte aiuta i poeti generosi, come Nardiello. Come si attua la riscossa degli sfruttati contro gli esosi? Con un’azione scatologica e scurrile, contro il “gran signore tedesco” e il manigoldo Cenzone . La burla è dapprima scurrile, poi farsesca, e infine decisamente scatologica e crudele.
E’ un caso che la vittima sia un tedesco? No. Se si guarda, infatti, alle tradizioni popolari e alla letteratura colta (Dante li aveva definiti < tedeschi lurchi>, cioè ingordi), una costante è l’insofferenza verso il tedesco tronfio e <capacchione>.
A questo motivo, nel racconto, se ne aggiunge un secondo: l’insofferenza verso i ricchi prepotenti e manigoldi.
Come tutte le fiabe, anche questa è antinaturalistica, nel senso che non si preoccupa della verosimiglianza e della plausibilità. Alla fine della strampalatissima e godibilissima favola, infatti, Nardiello, che sembrava destinato agli smacchi più cocenti, viene premiato con il matrimonio con la ricca principessa Milla, figlia di Cenzone. Abbiamo già detto che queste fiabe erano raccontate nelle corti napoletane, per gente nobile e/o ricca. Perciò, i poveri erano presentati nelle vesti bonarie di persone poetiche e bizzarre; e i ricchi erano stigmatizzati solo in quanto truffatori e manigoldi. L’armonia sociale non era perciò mai messa in discussione in queste favole, e non viene messa in discussione neanche nella favola “ Lo scarafone, lo sorece e lo grillo”.