Questa è la terza e ultima parte dell’articolo dedicato al film “Il vedovo”, di Dino Risi, con Alberto Sordi, Franca Valeri, e Livio Lorenzon. Il film è uno degli esiti più felici del lungo sodalizio artistico – cinematografico tra Sodolfo Sonego e Alberto Sordi (“Il cervello di Sordi”, Tatti Sanguinetti, Adelphi Editore, 2015).
Il film è una commedia nera, e cioè mescola il comico, il tragico, e il grottesco. Vi si racconta la storia apparentante inverosimile di un marito fallito che, per disfarsi della propria moglie, vincente su di lui in tutti i campi, superiore in tutto, soprattutto nel campo degli affari, ed ereditarne le fortune più che cospicue, decide di ucciderla, o farla uccidere. Perciò, Alberto Nardi (un geniale Alberto Sordi), convoca nel proprio ufficio quattro collaboratori, con cui esamina un documento dattiloscritto, che contiene nientemeno che il piano per l’uxoricidio, cioè per l’uccisione della signora Elvira Almiraghi (una grandissima Franca Valeri) sua moglie.
Agli Autori, l’ispirazione veniva anche dal “caso Fenaroli”, che stava appassionando l’Italia di quegli anni. In quella storia, asseverata dalle risultanze processuali, un marito fallito economicamente (Giovanni Fenaroli), aveva assoldato un killer (Raul Ghiani), per uccidere la moglie Maria Martirano, e intascarne la polizza assicurativa. Fenaroli avrebbe platealmente e coram populo parlato a più persone, del proprio progetto uxoricida!
Come spiega Sanguinetti, nel libro citato “Il cervello di Sordi”, gli Autori si erano ispirati a una storia vera, ma anche qualche avvocato, nei successivi gradi di giudizio, aveva preso ispirazione dal film! Al riguardo, si rimanda alle citazioni sulla vicenda, contenute nei primi due articoli. Dunque, siamo nella commedia, con un finale tragico: una contaminatio geniale, e difficile da rappresentare. Ma gli Autori ci riescono, grazie all’immensa bravura di Alberto Sordi, che Sanguinetti, nel libro citato, definisce il più grande attore cerebrale italiano. Sì, cerebrale, perché Sordi si fa possedere dal daimon dell’attore, e si trasforma in un personaggio imprevedibile, portando la mimesi, al massimo livello. La mimesi, come potrete leggere qui di seguito, è la capacità di un attore di imitare la realtà.
Che cos’è la tragedia?
Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C.) si occupò della tragedia, nel libro “La Poetica”. In esso vengono esaminati i concetti di base per la comprensione del teatro tragico: la mimesi (μίμησις, dal verbo μιμεῖσθαι, imitare); e la catarsi (κάθαρσις, purificazione). Scrive l’Autore al riguardo:
“La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta […] la quale per mezzo della pietà e della paura provoca la purificazione da queste passioni”.
Cioè lo spettatore, solidarizza (pathos), con l’eroe tragico, per le sciagure ingiuste a lui occorse; ma può anche condannarne il vizio e/o la malvagità, dello stesso eroe, perché ne condivide In altre parole, gli eventi terribili che si susseguono sulla scena fanno sì che lo spettatore si immedesimi negli impulsi che li generano, da una parte solidarizzando con l’eroe tragico attraverso le sue emozioni dall’altra condannandone la malvagità o il vizio attraverso la hýbris (ὕβρις – Lett. “superbia” o “prevaricazione”, i.e. l’agire contro le leggi divine, che porta il personaggio a compiere il crimine).
La nemesis finale rappresenta la “retribuzione” per i misfatti, punizione che fa nascere nell’individuo proprio quei sentimenti di pietà e di terrore che permettono all’animo di purificarsi da tali passioni negative che ogni uomo possiede. Il vizio e/o il destino (ανανχε) causano la caduta dell’eroe tragico. La tragedia è dunque una simulazione, quasi un esperimento da laboratorio. E l’attore protagonista deve essere uno “scienziato dell’anima” per riuscire nell’impresa.
Nietzsche scriveva: «…Un uomo il quale abbia da nascondere qualcosa di prezioso e di facile a guastarsi, rotoli attraverso la vita tondo e rozzo come una grande, vecchia botte di vino pesantemente cerchiata di ferro… Un tale uomo … vuole e esige che al suo posto erri nei cuori e nelle menti dei suoi amici una sua maschera… Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera…».
Ecco, Sordi/Nardi presenta la maschera di un marito inetto e presuntuoso, ma nasconde l’animus necandi del killer !
Ma il film “Il vedovo” è anche una commedia, mi direte. Cominciamo allora con una curiosità: ai tempi di Eschilo, l’Hypocrites era un ruolo teatrale. Proprio così. L’Hypocrites era l’attore unico che dialogava col Corifeo. E infatti in greco Hypocrites significa <colui che risponde alle domande, e più tardi prese il significato di attore…>.
– Per saperne di più, vai al link : http://www.paginaq.it/2015/02/01/un-articolo-ipocrita/#sthash.EBE9r542.dpuf
Passiamo ad esaminare la commedia, secondo le categorie aristoteliche:
“… coloro che imitano, imitano persone che agiscono, e queste di necessità sono o serie o dappoco (i caratteri si conformano in effetti quasi sempre a questi soli tipi, perché tutti differiscono per quanto riguarda il carattere in vizio o in virtù) o dunque migliori di noi o peggiori o anche quali noi siamo. (Poetica 2; 48: 1-5) … Secondo la stessa differenza la tragedia si distingue dalla commedia; questa infatti si propone di rappresentare persone peggiori, quella migliori che nella realtà. (Poetica 2; 48: 16-18 )
La commedia è, come si è detto, imitazione di persone che valgono meno, non però per un vizio qualsiasi, ma del brutto è parte il ridicolo. Il ridicolo è infatti un errore e una bruttezza indolore e che non reca danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e di stravolto senza sofferenza. (Poetica 5; 49: 33-37).
Per il testo integrale de “La Poetica” di Aristotele, vai al link: http://www.filosofico.net/poeticaristotele.htm.
Conclusioni:
1) Abbiamo detto che i due coniugi del film sono < due estremisti/nihilisti del matrimonio>. Alberto Nardi ed Elvira Almiraghi sembrano non avere (quasi) niente in comune. Perché: quasi? Perché hanno in comune una condizione estrema: A) lei ha scelto Nardi per avere un marito… purchessia; B) lui ha scelto Elvira solo per i soldi. Sono estremisti, perché hanno scelto una condizione estrema, l’unica che li unisca, per sposarsi, ma che non basta né a vivere felici, e neanche a …vivere;
2) Alberto Sordi / Alberto Nardi è l’interprete geniale del personaggio, perché lo crea dal nulla, e gli dà, senza falsi pudori, tutte le ambiguità e le bassezze di un uomo apparentemente inetto, ma di animo violento e crudele;
3) Livio Lorenzon /marchese Stucchi (senza nome di battesimo) è l’ex comandante di Nardi, durante la guerra, da lui ingaggiato perché servile e fallito. Il marchese Stucchi è un gigante della cialtroneria e del grottesco;
4) Franca Valeri /Elvira Almiraghi è l’altra estremista/nihilista: sposa un uomo che disprezza, che umilia, che sfrutta (il commendatore Lambertoni, che presta soldi a usura, a Nardi, è un prestanome di Elvira!). Elvira, che pur si dichiara cattolica apostolica romana, sa tuttavia che potrebbe, volendo, chiedere l’annullamento del matrimonio per manifesta incapacità di intendere e di volere del marito, eppure non lo fa. Perché? Perché, anche lei è estremista , perché vuole tutto; , e nihilista , perché non crede in niente, né nel matrimonio, né nell’annullamento del matrimonio!