Renzo è andato dall’avvocato, o meglio avvocaticchio, soprannominato Azzeccagarbugli, per un parere legale sulle molestie di Don Rodrigo ai danni di Lucia, e sulle minacce dello stesso Don Rodrigo, per il tramite dei Bravi, contro Don Abbondio. Quando l’avvocaticchio apprende che il colpevole dei misfatti è Don Rodrigo, non solo non gli fornisce alcuna assistenza legale ma, in malo modo, caccia Renzo e… i capponi che questi aveva portati in omaggio ad Azzeccagarbugli. A rigor di logica e di fatti, non si può addirittura escludere che l’avvocaticchio avvisi Don Rodrigo, della visita di Renzo.
Il primo tentativo non solo non è riuscito, ma ha aggravato la situazione degli ideatori, in primis di Agnese, e quindi dei due “Promessi” .
– Il secondo tentativo è stato esperito da Fra Cristoforo, che è andato al castello di Don Rodrigo, per chiedergli resipiscenza con riguardo all’insana e futile passione dello stesso per Lucia; futile, perché è il frutto di una scommessa tra lo stesso Don Rodrigo, e suo cugino, il Conte Attilio. Don Rodrigo non solo non resipisce, ma caccia in malo modo il frate, insinuando che possa addirittura essere Fra Cristoforo ad avere un interesse disonesto per Lucia.
Se lo esaminiamo a rigor di logica, questo tentativo del buon frate avviene in modo velleitario:
– primo, perché Fra Cristoforo presume di avere su Don Rodrigo un ascendente morale, che invece Don Rodrigo neanche si sogna di avere: manca la forza del diritto;
– secondo, perché, in mancanza della persuasione morale, Fra Cristoforo non alcun altro mezzo il gaglioffo: manca il diritto della forza.
In una parola, come si può definire l’azione di Fra Cristoforo? Velleitaria!
Veniamo al terzo e ultimo tentativo: avviene in quella che lo stesso Manzoni chiama la “Notte degli Imbrogli”, e occupa quasi per intero il capitolo VIII.
L’intenzione di Renzo è quella di presentarsi furtivamente, di notte, in casa del curato, con due testimoni, e celebrare un matrimonio de facto, con un celebrante “suo malgrado”. La cosa non riesce, e di seguito riportiamo in sintesi come Manzoni descrive la vicenda, in uno dei passaggi più esilaranti di tutto il romanzo .
– “Carneade! Chi era costui?”
ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l’imbasciata.
“Carneade! Questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?”
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– …Don Abbondio stava, come abbiam detto, sur una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina, che gli faceva cornice intorno alla faccia, al lume scarso d’una piccola lucerna…
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-… Tonio, allungando la mano per prender la carta, si ritirò da una parte; Gervaso, a un suo cenno, dall’altra; e, nel mezzo, come al dividersi d’una scena, apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, s’infuriò, pensò, prese una risoluzione: tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole:
– signor curato, in presenza di questi testimoni, quest’è mia moglie –.
Le sue labbra non erano ancora tornate al posto, che don Abbondio, lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata, con la mancina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del tavolino, e tiratolo a sé, con furia, buttando in terra libro, carta, calamaio e polverino; e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s’era avvicinato a Lucia.
La poveretta, con quella sua voce soave, e allora tutta tremante, aveva appena potuto proferire: – e questo…–
che don Abbondio le aveva buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per impedirle di pronunziare intera la formola. E subito, lasciata cader la lucerna che teneva nell’altra mano, s’aiutò anche con quella a imbacuccarla col tappeto, che quasi la soffogava; e intanto gridava quanto n’aveva in canna:
– Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto! –
Il lucignolo, che moriva sul pavimento, mandava una luce languida e saltellante sopra Lucia, la quale, affatto smarrita, non tentava neppure di svolgersi, e poteva parere una statua abbozzata in creta, sulla quale l’artefice ha gettato un umido panno.
Cessata ogni luce, don Abbondio lasciò la poveretta, e andò cercando a tastoni l’uscio che metteva a una stanza più interna; lo trovò, entrò in quella, si chiuse dentro, gridando tuttavia: – Perpetua! tradimento! aiuto! fuori di questa casa! fuori di questa casa! –
Nell’altra stanza, tutto era confusione: Renzo, cercando di fermare il curato, e remando con le mani, come se facesse a mosca cieca, era arrivato all’uscio, e picchiava, gridando:
– apra,apra; non faccia schiamazzo –.
Lucia chiamava Renzo, con voce fioca, e diceva, pregando:
– andiamo, andiamo, per l’amor di Dio –.
Come abbiamo visto, il tentativo fallisce e dunque è abbastanza ozioso porsi domande sulla validità di un matrimonio celebrato in maniera fraudolenta. In particolare, Don Abbondio, messo alle strette da Don Rodrigo,avrebbe potuto invocare lo stato di costrizione violenta in cui aveva dovuto agire. Ma ripeto, i due promessi non riescono neanche a pronunziare entrambi la formula del rito, perché l’astuto curato li mette in fuga. In maniera cinica si potrebbe così commentare quanto combinano i tre sprovvedutissimi perseguitati (Lucia, Renzo e Agnese): se non neanche un minimo di sangue freddo e di prontezza di spirito…e di eloquio, è meglio che resti a …casa! –
Per gli articoli precedenti sull’argomento, vai al link: http://www.ilgrandeinquisitore.it/wp-admin/post.php?post=1754&action=edit
– Per notizie su Carneade, vai ai link:
1) http://www.treccani.it/enciclopedia/carneade-di-cirene/
2) http://www.treccani.it/enciclopedia/carneade-di-cirene_(Dizionario-di-filosofia)/
3) ) http://www.treccani.it/enciclopedia/carneade-di-cirene_(Enciclopedia-Italiana
Nel quarto, e ultimo articolo, scriveremo “l’arringa difensiva” a favore del nostro eroe Don Abbondio.