Siamo a Londra. John May è un solitario funzionario comunale, il cui lavoro consiste nel rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine e abbandono. John è un uomo metodico, fino all’ossessione. La sua solitudine, che si avvicina all’ascesi mistica, è spesa in una cura meticolosa e instancabile per cercare di dare una degna sepoltura a persone, vissute e morte sole.
John addirittura prepara egli stesso l’epicedio per il defunto, e ne trasmette il testo al pastore anglicano, addetto nel cimitero alla celebrazione del rito funebre. Il prete, durante la sobria ma straziante cerimonia funebre, legge il testo, che viene ascoltato solo da John, in silenziosa rappresentanza di tutti noi.
Un giorno a John viene affidato il caso di Billy Stoke, ex parà delle guerra delle Falklands/Malvinas, alcolizzato, pluri-adultero, accattone, rapinatore, morto in solitudine a pochi passi da casa sua. John capisce che Billy non è stato un uomo banale, e così inizia a raccogliere indizi sulla sua vita e a cercare le persone a cui è stato legato. Mentre sta seguendo il caso del parà, viene licenziato hic et nunc, perché l’ufficio viene trasferito in altra sede, e ridimensionato: – nelle funzioni, perché il nuovo ufficio si occuperà solo della cremazione dei corpi defunti, e della dispersione delle ceneri; – nel personale, una parte del quale diventa “esuberante”, ragione per cui il povero John (e chi, se no?) viene licenziato.
Il nostro eroe, che evidentemente è una persona di non comune tempra morale, non si abbatte e convince il suo capo a concedergli qualche giorno per portare a termine il suo ultimo caso, “on your own time”, gli dice il caporione, cioè fuori servizio e senza retribuzione.
Durante le sue ricerca conosce Kelly, deliziosa ma infelice figlia di Billy Stoke, abbandonata da bambina. In questo suo ultimo caso da funzionario, John May esce dall’isolamento, perché incontra le persone che hanno conosciuto il defunto. Tra queste persone, c’è Kelly , che sembra essere la prima persona ad accorgersi dell’esistenza di John, e infatti che invita a un casto incontro al bar vicino il cimitero, dopo il funerale del padre Billy.
John non potrà andare a questo strano e misterioso, appuntamento, perché morirà all’improvviso, in un modo straziante e metafisico, che non riveliamo, per non svelare un finale che in effetti spiega gran parte del senso del film. La tumulazione del corpo di John avviene nella più totale solitudine, ma all’improvviso sembrano destarsi i morti seguiti da John nella propria ventennale carriera di funzionario del sevizio mortuario, che si danno sulla sua tomba, per un ultimo struggente saluto di addio al loro strano e mistico anfitrione.
Festival di Venezia 2013 Premio Orizzonti per la regia
Premio Pasinetti al miglior film
Still Life , Regno Unito, Italia ; 2013
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Produttore: Uberto Pasolini, Felix Vossen, Christopher Simon
Fotografia: Stefano Falivene
Montaggio: Tracy Granger, Gavin Buckley
Musiche: Rachel Portman
Scenografia: Lisa Marie Hall
Interpreti e personaggi
Eddie Marsan: John May
Joanne Froggatt: Kelly Stoke
Karen Drury: Mary
Andrew Buchan: Mr. Pratchett
Neil D’Souza: Shakthi
Paul Anderson: primo senzatetto
Tim Potter: secondo senzatetto
Ciaran McIntyre: Jumbo
“Still life”, che è il titolo di questo film, indica anche un genere pittorico, che in italiano è detto “natura morta”, per cui è probabile che per l’autore, il titolo “Still life” voglia dire che le persone nominate nel film appartengono, in tutto o in parte, a esseri non viventi, inanimati.
Per il significato di “Still life” in pittura, vai al link: http://www.treccani.it/enciclopedia/natura-morta/
Per i Cristiani, la vita è un momento di passaggio, attraverso la morte, verso l’immortalità della gloria (Paradiso) , o della dannazione (Inferno), perciò il cristiano non teme la morte, ma anzi si prepara ad essa, per meritare il premio eterno, e fuggire la dannazione.
A) Ecco cosa dice al riguardo il Vangelo di Giovanni, 5:24-26:
“ In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso”.
- B) E la “Lettera agli Ebrei”, 11:1; 33-40:
[1]… La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.
[33]… per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni,
[34]spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri.
[35]Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione.
[36]Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia.
[37]Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati –
[38]di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
[39]Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa:
[40]Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.
Per il Nuovo Testamento, vai al link:
http://www.maranatha.it/index.htm
Qui di seguito, riportiamo alcune meditazioni e preghiere cristiane sulla morte:
I) Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
Padre Giacomo Perico
Preghiera/meditazione di Padre Giacomo Perico attribuita erroneamente a Sant’Agostin
Padre Giacomo Perico , Ranica, 1911 – Milano, 2000; sacerdote gesuita, dal 1940 nella Compagnia di Gesù. Specializzato in problemi di bioetica e nelle tematiche della vita familiare e sociale, ha fondato nel 1946 il Centro Studi Sociali di San Fedele –Milano- che ha dato origine alla rivista Aggiornamenti Sociali, sulla quale ha scritto 248 articoli. Nel 1960 ha dato vita all’Istituto Giulio Salvadori per “bambini soli” accanto a quello femminile già esistente. Tra le sue pubblicazioni più diffuse: L’aborto – Adozione e prassi adozionale Giovani, amore e sessualità – A difesa della vita – Problemi che scottano Problemi di etica sanitaria.
Per notizie specifiche, vai al link: “Resta con noi Signore!” San Paolo Edizioni, 2001
II) La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo
prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato,
che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso
che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose
che tanto ci piacevano quando eravamo insieme
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente,
solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte,
proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime
e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
Henry Scott Holland
Per notizie su Henry Scott Holland, vai al link (in inglese) : http://en.wikisource.org/wiki/The_Times/1918/Obituary/Henry_Scott_Holland
III) Benedetto XVI:
“…nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità
Ma ci chiediamo: perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è ignoto. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento.
Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affetto, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella convinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo.
Oggi il mondo è diventato, almeno apparentemente, molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che proprio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è sarebbe una copia di quella presente…”.
Udienza Generale del 2 novembre 2011. Vai al link: