Tav. 1 – 1860: raffronto del debito pubblico (in milioni di lire dell’epoca)
NAPOLI | PIEMONTE | |
Debito pubblico consolidato | 441,23 | 1.271,43 |
Interessi annui | 25,181 | 75,474 |
Tav. 2 – Andamento del debito pubblico nel Regno di Napoli e in Piemonte (in lire dell’epoca)
REGNO DI NAPOLI | PIEMONTE | ||
Debito a tutto il 1847 | Lire | 317.475.000 | 168.530.000 |
Debito a tutto il 1859 | Lire | 411.475.000 | 1.121.430.000 |
Incremento nel periodo | % | 29,61% | 565,42% |
Interessi sul D.P. | Lire | 22.847.628 | 67.974.177 |
Popolazione residente | 6.970.018 | 4.282.553 | |
Debito pro-capite | Lire | 59,03 | 261,86 |
PIL | Lire | 2.620.860.700 | 1.610.322.220 |
D.P./PIL | % | 16,57% | 73,86% |
Interessi D.B./PIL | % | 0,87% | 4,22% |
Vai link: C:\Users\Patella\Desktop\debito pubblico.htm
Dei capibanda che fecero grosso-brigantaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie al momento della realizzazione dell’unità d’Italia, Luigi Alonzi, detto Chiavone, è forse il più importante e il più rappresentativo. Egli condusse la sua azione in una zona di grande interesse strategico, lungo il confine tra lo stato borbonico e quello pontificio, dalla Marsica al litorale di Terracina. Un territorio molto esteso dove si giocò l’ultima, sanguinosa partita tra i difensori della monarchia borbonica e le truppe nazionali di repressione. Le notevoli capacità di manovra e di comando mostrate da Chiavone, l’ascendente che riuscì ad esercitare sulle molte centinaia di gregari, la qualità stessa della sua guerriglia che rese precario per un biennio il dominio dei conquistatori sull’esteso territorio ed infine la fiducia che ebbe dai sovrani spodestati lo innalzarono al ruolo di protagonista ma lo esposero, nel contempo, a critiche velenose e gelosie incontenibili che dovevano risultargli mortali. Nella vicenda di Chiavone si chiariscono i ruoli e le implicazioni di molti personaggi storicamente importanti. Oltre a re Francesco e alla regina Maria Sofia, sono quasi comprimari, nella sua storia, strani vescovi e potenti cardinali, grandi generali e famosi ministri che hanno fatto le disgrazie o le fortune delle due parti in lotta. Con Chiavone e per Chiavone agisce e soffre tutta una popolazione povera ed esasperata che attacca, saccheggia, uccide ma viene anche uccisa, fucilata, decimata; costruisce con sacrifici immani la sua oscura epopea dove non mancano gesti commoventi di lealtà, di coerenza e di eroismo. Ogni figura, nobile o modesta, fedele o infida, coraggiosa o vile, come ogni episodio, avventuroso o politico, felice o infausto, crudele o amoroso, sono descritti con grande maestria da un Autore esperto che usa tutte le sue doti di intelligenza e di stile per rendere obiettiva la ricostruzione e piacevole la narrazione”.
Vai al link : info@ilbrigantechiavone.it
Carmine Crocco,
detto Donatello o Donatelli (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un brigante italiano, tra i più noti e rappresentativi del periodo risorgimentale. Era il capo indiscusso delle bande del Vulture, sebbene agissero sotto il suo controllo anche alcune dell’Irpinia e della Capitanata.
Nel giro di pochi anni, da umile bracciante divenne comandante di un esercito di duemila uomini, e la consistenza della sua armata fece della Basilicata uno dei principali epicentri del brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno continentale. Dapprima militare borbonico, disertò e si diede alla macchia. In seguito, combatté nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi per la reazione legittimista borbonica e infine per sé stesso, distinguendosi da altri briganti del periodo per chiara e ordinata tattica bellica e imprevedibili azioni di guerriglia, qualità che vennero esaltate dagli stessi militari sabaudi.
Alto 1,75 m, dotato di un fisico robusto e un’intelligenza non comune, fu uno dei più temuti e ricercati fuorilegge del periodo post-unitario, guadagnandosi appellativi come “Generale dei Briganti”, “Generalissimo”, “Napoleone dei Briganti”, e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire.
Arrestato nel 1864 dalla gendarmeria dello stato pontificio, ove tentato di trovar riparo, venne processato nel 1870 da un tribunale italiano fu condannato a morte e poi all’ergastolo nel carcere di Portoferraio. Durante la detenzione, scrisse le sue memorie, che fecero il giro del regno e divennero oggetto di dibattito per sociologi e linguisti. Benché una parte della storiografia dell’Ottocento e inizi del Novecento lo considerasse principalmente un ladro e un assassino, a partire dalla seconda metà del Novecento iniziò ad essere rivalutato come un eroe popolare, in particolar modo da diversi autori della tesi revisionista, anche se la sua figura rimane ancora oggi controversa.“Il brigante è come la serpe: se non la stuzzichi, non ti morde”. Carmine Crocco.
da Wikipedia
“…Il padre di Crocco era pastore e contadino: sua madre, Maria Gera, era una donna di grande bontà d’animo. Si alzava all’alba, preparava la bisaccia del marito, rassettava la casa, curava i suoi cinque figliuoli e poi si metteva a lavorare, tranquilla. Siamo al 1836, in aprile. I due primi figliuoli della Maria, Donato e Carmine, stanno attorno ad una tavola e mangiano una minestra di fave: la madre, incinta, li guarda. Improvvisamente un magnifico levriero balza nella stanzuccia, afferra unconiglio che mangiucchia in un cantuccio e via sulla strada. I ragazzi si levano e gli corrono appresso; il levriero ha già ammazzato il coniglio. Donato Donatelli dà di piglio a un randello, e così forte percote sul capo il cane che questo cade morto. Il signore al quale il cane apparteneva si precipita nella casupola, distribuisce colpi di frusta a’ ragazzi, inviperisce contro la donna che li difende e, imbestialito, le scaraventa un calcio nel ventre. La povera donna si sconcia, ammala, diventa pazza. Un bel giorno una fucilata, dal fitto d’una macchia, è sparata contro il signore: e il padre di Carmine Crocco, il marito della Maria, è arrestato come sospetto di mancato assassinio. Egli invoca un alibi: difatti era innocente. Ma pareva così evidente la causa a delinquere nello sciagurato, che nessuno gli dà retta ed il povero pastore è menato nelle carceri di Potenza. Dopo trentuno mesi il vero colpevole è scoperto: il padre di Crocco è liberato. Ma la Maria è morta. E Carmine Crocco ha soltanto quindici anni. La vendetta deve cominciare. «Io – scrive Crocco – non avevo paura di nessuno, e sentivo in me il bisogno di prevalermi sui miei simili, distinguermi dall’ordinario, fosse pure con pericolo della vita». E la terribile storia della sua vita di bandito s’inizia qui con uccisioni, ricatti, assalti temerarii a’ paeselli della sua provincia, distruzioni, spogliazioni, incendii e ruberie d’ogni sorta. Crocco comanda un piccolo esercito di 700 uomini; espugna Avigliano, entra in Melfi e ne fa suo quartiere generale…”.
Salvatore Di Giacomo: “Per la storia del brigantaggio nel Napoletano”.